Pasticcio di Chili con cavoli a merenda

La brutta storia della Netflix della cultura franceschiniana

5 dicembre 2020

Dal cilindro ottuso politico affaristico italiano è spuntata fuori una nuova creatura semi-aliena.
Eravamo partiti a marzo con la strampalata idea di una Netflix della cultura, ma si poteva pensare che si trattasse soltanto di una boutade disperata di chi non comprende cosa stia succedendo intorno.
Invece no. Riproposta con uno squillar di trombe e soprattutto di tromboni, è ricomparsa in tutta la sua miserabilità e chi se ne fa vanto pensa perfino che sarà un gran successo.

Nell’ormai tombale silenzio del sedicente “mondo della cultura” (9 mesi e 30 anni di nullismo), la piattaforma a pagamento, che dovrebbe sfamare il popolo italiano di grandi eventi in streaming, sta uscendo dalle nebbie.
Un variegato gruppo di capitalistoidi allo sbaraglio – Chili TV, in società con Cassa Depositi e Prestiti, starebbe per lanciare questo nuovo broadcast pay-per-view per “garantire supporto al nostro patrimonio”.
L’operazione, molto simile a quella dei compagni di merende che rilevarono l’Alitalia, appare in effetti un supporto a un qualche patrimonio, ma che sia il nostro, cioè di tutti gli Italiani, non è altrettanto evidente.
Tutti sappiamo che in Italia, quando una grande iniziativa si sviluppa velocemente dopo un periodo di silenzio, il dietro le quinte è fatto di scambi e interessi privati.

La storia è vecchia e scorre tra le cellule malate dello stesso DNA che ci fa figurare ai primi posti in tutte le peggiori classifiche del mondo.
Avremmo sperato che in un momento così drammatico si cercasse quanto meno di mantenere un minimo di decenza ma dobbiamo di nuovo constatare che la regola del “aumm aumm” regna senza confini.
Non c’è stato nessun avviso pubblico e non è stato assicurato ai cittadini nessun tipo di informazione. Pare che le oscure procedure seguite non abbiano contemplato una gara pubblica.
Perché è stata scelta CHILI TV? Ha forse una storia sull’offerta culturale così prestigiosa e consistente da offuscare ogni altro possibile competitor? Magari sì, ma nessuno se ne è mai accorto.

Da segnalare qualche insignificante particolare: Cassa Depositi e Prestiti non è esattamente un’azienda pubblica. Il terzo partner di questa impresa è il MIBACT ed è l’acronimo di Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, quindi un’Istituzione repubblicana e un organismo di garanzia democratica.
Ci facciamo una domanda e ci diamo una risposta?

PS: sulla questione relativa ai rischi di un’offerta culturale in streaming senza preoccuparsi di poggiarla su un valido impianto intellettuale mi sono già espresso 8 mesi fa circa.
Al Ministero stanno cercando “impianto intellettuale” sul dizionario della burocrazia. Non riescono a trovarlo.