Il film fresco di Oscar passa in TV e una parte del mondo del cinema si ribella. Sono soprattutto gli esercenti che protestano, lamentando, giustamente, il mancato incasso per l’ulteriore uscita in sala della pellicola.
Sull’onda del nuovo successo avrebbero infatti potuto godere di un poderoso lancio promozionale che ha finito per attribuire cifre record al passaggio televisivo.
Appare evidente la scelta molto politica di Mediaset di inviare un messaggio tassativo (tirannico) a tutti gli operatori del settore che da anni si azzuffano, inutilmente, sulla questione delle finestre d’uscita dei film.
Il senso di questa scelta è quello di determinare imperiosamente e dall’alto, un nuovo equilibrio nella diffusione dei titoli. Uscite anticipate in televisione e “dove si arriva si mette il segno”.
L’epilogo del contenzioso era chiaro da tempo. Era scontato che i motivi degli esercenti si sarebbero infranti contro i diktat delle grandi potenze del cinema. Le intenzioni di quest’ultimi erano abbastanza manifeste.
Fino a 2 anni fa sarebbe stato possibile mettere in moto “processi altri” per garantire più forza, non solo contrattuale, agli spazi di proiezione, proprio in vista di questo snodo ineluttabile. C’è da temere che sia ormai troppo tardi per rimettere in moto le iniziative di 3-4 anni orsono. Ora servono nuove idee e nuovi strumenti, comunque possibili, per rilanciare un comparto sempre più in crisi. Il problema non era la digitalizzazione delle sale, doverosa, irrimandabile e anch’essa in pesante ritardo, ma era l’impianto intellettuale su cui sviluppare i progetti di rinnovamento. Occorreva una visione alta degli scenari futuri e non la solita disputa sui finanziamenti a pioggia che – anche questo era chiaro – non sarebbero stati ingenti né sufficienti.
Lo stesso discorso andrebbe fatto per altri aspetti del dibattito sul rilancio del cinema in Italia. Il treno per alcune riforme che andavano fatte è passato. I ritmi degenerativi della nostra società sono incalzanti e rapidi. Chi scrive aveva proposto di istituire tavoli di confronto facendoli partire dal Festival di Roma 2012. Hanno strangolato e fatto morire quella proposta e dopo un anno cosa hanno fatto? Hanno istituito tavoli di confronto facendoli partire dal Festival di Roma. Però dopo 365 giorni. Un anno buttato al vento pesa come un macigno sulle possibilità di riuscita di un’impresa e sul risultato di questi nuovi tavoli, organizzati dall’alto, non se ne ha per ora notizia.
L’assenza di velocità è un difetto distruttivo come la mancanza di democrazia. Le proposte di ieri, rubate e goffamente corrette, non sono più attuabili oggi. Per salvaguardare i privilegi dei “pochi” si arriva rovinosamente in ritardo e il prezzo verrà pagato come sempre dai “tanti”.
Arriviamo tardi, un po’ come quel film di grande successo che descrive la fine degli anni ’80 (feste, trenini, etc.) ed esce quasi 30 anni dopo. Racconta la pioggia di ieri quando siamo ormai con il fango fino alle ginocchia.
SteP
6 marzo 2014