In un bell’editoriale apparso sul Corriere di oggi, Marco Imarisio mette a fuoco i sentimenti più vivaci radicati nel popolo dei grillini. Disillusione e disperazione, unite a una gran voglia di vendetta, animano le masse numerose che si accalcano sotto ai palchi del nuovo capopolo italiano. Come nota Imarisio, non è importante cosa dica Grillo, quale sia il suo programma politico e chi siano i candidati che si presentano nel suo nome. Ciò che pervade tutto quel consenso viene alimentato da quello che Grillo rappresenta per tanti Italiani e non per la certezza di ciò che il suo movimento farà.
Il fenomeno ci riporta 20 anni indietro, alle invettive di Berlusconi contro i politici e a quel messaggio, di cui si servì anche la lega, che non nasce tanto da un’elaborazione politica quanto dall’interpretazione nuda e cruda delle pulsioni popolari e della rappresentazione del dissenso che fa da apripista al sogno o allo sfogo e al fanatismo.
Sta di fatto che questi processi, che qualcuno definisce semplificando come populisti (e in parte può essere vero), hanno ottenuto un sostegno talmente ampio da acquistare un valore politico aldilà della politica stessa e un ruolo centrale perfino a dispetto di una serie infinita di fallimenti e di evidenti contraddizioni. Si tratta infatti non di un consenso politico e di una centralità nella e della democrazia, quanto di un allineamento prodotto su una base di sentimenti e istinti quasi perfettamente uniformi provati da una enorme quantità di persone che pretendono il cambiamento senza però capire quale sia la strada per raggiungerlo.
La furbizia del puttaniere e la parolaccia del comico esercitano un potere irrefrenabile sulla massa esasperata più di quanto possa fare qualsiasi espressione di sobrietà e saggezza che provengano da una classe politica tradizionale nel senso più limpido del termine.
La politica vive una fase di profonda crisi così come il Paese e se questi due fattori, nella seconda metà degli anni ’70, fecero crescere la rabbia e la follia fino all’eccesso del terrorismo e della lotta armata, oggi, gli arrabbiati e i pazzi si accalcano nelle piazze a inneggiare i barzellettieri e i padroni.
Se allora il risultato fu quello di rafforzare la parte peggiore della politica e di dare una spallata a molti assetti di garanzia democratica, oggi appare più probabile che l’esito sarà quello di aprire una fase di caos le cui dimensioni sono difficili da immaginare. La disarticolazione sociale e l’assenza di cultura democratica ha accesso la miccia di un ordigno che in tanti stanno portando nelle loro case, nei loro luoghi di lavoro e all’interno delle loro comunità. L’italiano ha scelto una nemesi tragica per porre fine al crollo e ha eretto (eletto) a simbolo della sua vendetta il boia che lo impiccherà.
Mi rendo conto che paragonare la lettera con il modulo del rimborso IMU a un attentato degli anni di piombo è un accostamento azzardato ed eccessivo, ma negli effetti è una vicenda in grado di creare un’esplosione a catena in cui pochi potranno dire di non essere stati coinvolti, siano essi concordi o nemici, coscienti o inconsapevoli.
Siamo arrivati a queste elezioni con alcune certezze: Monti non sarebbe entrato in politica, Berlusconi avrebbe dato spazio alle primarie facendosi da parte e la Sinistra avrebbe ricominciato a parlare di lavoro e di giustizia sociale in modo unitario e compiuto. Fino a dicembre sembrava proprio che questi fatti fossero scontati ed eravamo già allo stremo delle forze da lungo tempo. Oltretutto eravamo ben consci di trovarci di fronte a un bivio drammatico da cui dipendeva il nostro futuro e la tenuta della nostra stessa democrazia.
In questi due mesi di campagna elettorale non abbiamo fatto altro che assistere allo stesso teatro dell’horror che ha caratterizzato gli ultimi 20 anni.
Qualcuno si può sorprendere se un santone, un grillo o un guru di Scientology arriva oltre il 20% di voti?
SteP 21 febbraio 2013