Lo Swatch è un orologio in plastica creato nel 1983 per risollevare la profonda crisi che aveva colpito l’orologeria svizzera a causa dell’invasione di modelli provenienti soprattutto dal Giappone e da Hong Kong. Nacque come oggetto super economico Nel settembre del 1990, la Swatch organizzò un’asta a Milano, presso la Sothebhy’s. Mise in vendita alcuni modelli del suo assortimento che raggiunsero cifre di acquisto di alcuni milioni di Lire. Un valore del tutto ingiustificabile e immotivato. 15 milioni per un oggetto con meccanismo al quarzo in materiale plastico stampato a iniezione che aveva un costo di produzione oscillante tra le 1.000 e le 3.000 Lire (tra 0,50 e 1,50 euro circa). In Italia, solo in Italia, si scatenò una mania delirante e compulsiva verso questo oggetto simbolo di chissà cosa. In tanti si vantavano di aver acquistato un esemplare di Swatch a un prezzo dieci volte maggiore rispetto ai listini di vendita. “Questo è stato acquistato all’asta per 15 milioni” dicevano orgogliosi. Con frenesia demenziale e accanimento ossessivo si affrettavano a rastrellare ogni plastico orologio pagandolo qualsiasi cifra. In migliaia ispezionavano ogni punto vendita all’estero e saccheggiavano tutti i freeshop degli aeroporti di tutto il mondo. I venditori, appena notata la foga per accaparrarsi un pezzo dell’assortimento, dicevano: “Italiani…eh?” e sorridevano divertiti, irridenti. Gli organizzatori dell’asta avevano raggiunto un obiettivo massimo con un minimo sforzo. Soltanto o soprattutto in Italia. Era bastato un elementare stratagemma di poche lire per farsi una pubblicità straordinaria. Un piccolo amo con esca avariata per tantissime prede, felici di abboccare.

In quello stesso tempo era svanito il valore di tutti coloro che avevano imparato il mestiere del commerciante, in questo caso di orologi, facendo gavetta, sacrifici, e mettendo passione e impegno nell’arte della trattativa e del lavoro. Al valore umano si era sostituito quello della facile suggestione. Al talento e alla capacità professionale erano subentrate la furbizia “tout court” e la sopraffazione delle deboli intelligenze. Da allora tutto questo divenne regola e metodo. Soprattutto in Italia. Da allora plastica e denaro hanno preso il posto di umanità e coscienza. Propaganda e condizionamento stabiliscono sulla base delle suggestioni che producono, il consenso politico o il successo mediatico.
I tanti “affaristi” che, soprattutto in Italia, investirono in quell’impresa geniale stanno ora cercando il modo di fare miracolosi impacchi con quarzi, plastica e lancette. I venditori hanno guadagnato e ancora ridono.

Sarebbe bene evitare che investimenti ben più corposi, sui quali si gioca il destino di un popolo, non seguissero gli stessi criteri. Trovarsi con il modellino di un ponte di plastica mentre sprofondano le case sarebbe davvero mortificante.

Stefano Pierpaoli
24/04/2010

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