Il Messaggero 6 agosto 2002
GLI ANNI DI PIOMBO
Mara Nanni: “Scusatemi, ho sbagliato”
di RITA DI GIOVACCHINO
ROMA – Mara Nanni, trent’anni dopo. Storia di una brigatista ribelle, di una “rabbiosa” ragazza anni ’70 condannata all’ergastolo più trent’anni. Fine pena? Mai. In realtà è uscita nel ’94, dopo quindici anni di carcere duro, su e giù per il circuito delle “speciali” da Messina a Voghera. Libera come quasi tutti i protagonisti di quella tragica stagione, dopo la dissociazione dalla lotta armata. Il ritorno alla normalità è stato difficile, ha un figlio di 14 anni, per mantenerlo fa la donna di servizio.
Piccola, magra, i capelli neri tagliati a caschetto, un fascio di nervi, Mara ha raccontato la sua vita in un libro (“E allora?”, Stefano Pierpaoli e Mara Nanni, Edizioni Interculturali, 11 curo), affidando le sue memorie alla penna di un giovane scrittore, estraneo a quel l’esperienza politica per motivi generazionali, svincolato da ogni schema ideologico. Ma capace di trarre dalla vicenda, con una scrittura asciutta e sensibile, il senso più profondo di una testimonianza sulla generazione maledetta dell’attacco al cuore dello Stato”.
Dalla simbiosi Mara-Pierpaoli ne è scaturita una biografia singolare nella memorialistica della lotta armata. Una storia minima, che oggi la protagonista non ha alcuna voglia di riscattare in modo political correct, avendo più a cuore la voglia di raccontare se stessa. Critici austeri e militanti severi, per dirla con Guccini, non ne hanno gradito l’impostazione che a dir loro racconta l’inutile storia di una ribellione privata, un romanzetto più vicino a Virginia De- spentes che a Rosa Luxemburg. Mara in effetti non fu mai una leader, né un’ideologa, ma un soldato semplice delle Br e come altre terroriste donne non ha mai sparato. Neppure un colpo nonostante i cinque omicidi che le sono piovuti addosso per i meccanismi delle leggi speciali.
Cosa le rimproverano? Di non essere riuscita a costruire un “progetto politico” sulle sue spinte emozionali, ma ancor di più il coraggio di dire oggi: «Scusatemi, ho sbagliato». Del resto il suo libro esordisce in questo modo: “Di politica non capivo quasi nulla. Il mio era il frutto di un impulso, quella rabbia che mi rimbombava dentro per tutto ciò che sentivo ingiusto. Alle assemblee rubavo con gli occhi e con le orecchie. Cielo quante parole difficili, concetti aggrovigliati…. mi chiedevo: perché non parlano in maniera più comprensibile, non tutti hanno studiato tanto».
Finita in carcere la prima volta nel ’77, durante una manifestazione, ne uscì 11 mesi dopo. Nelle Br entrò nell’ottobre 78: un anno di clandestinità, dubbi, infelicità e ripensamenti, il successivo arresto vissuto quasi come una liberazione.
Nella lotta armata è finita per amore, innamorata di Alessio Casimirri, che in via Fani andò in compagnia di un’altra, lei era in carcere. Ora è in Sud America, ben protetto, tante chiacchiere sul suo conto. Mara non vuole parlarne: «Di Moro non so nulla, allora ci credevo e basta». Atteggiamento prepolitico, direbbero i critici severi. Delle sofferenze successive, della solitudine, delle violenze fatte e subite, soprattutto in carcere (“una struttura pensata per gli uomini, inadatta al corpo di una donna”) se ne consiglia la lettura nelle scuole.