Il divo

“Io non sono un politico. Sono un autore televisivo, e un autore televisivo non deve limitarsi a seguire i gusti del pubblico. Li deve interpretare, anticipare, deve capire dove vanno i suoi spettatori e quando può, deve cercare di modificare in meglio questi gusti.
Quindi un autore è portato sempre a cambiare, cercare strade nuove e quando cambia fa incazzare i suoi spettatori. Ma i suoi spettatori lo seguono, lo aspettano, e quando lui ritorna, quando si presenta di fronte a loro, ecco che i suoi spettatori lo giudicano, e se quello che ha fatto è buono dicono: “Ecco, valeva la pena aspettare, perché ci siamo divertiti, abbiamo ritrovato con lui un rapporto e possiamo applaudire di nuovo”.
È un brano dell’intervento di Michele Santoro nella puntata di questa sera. Lo ha detto praticamente all’inizio e si tratta di un incipit che chiarisce una serie di principi sui quali si dovrebbe basare la relazione tra autore e pubblico e tra rete televisiva e pubblico.

Quando Santoro afferma che non vanno seguiti i gusti del pubblico nell’ideazione di un programma televisivo spiega un presupposto che il servizio pubblico RAI in particolare ha completamente abbandonato. Un prodotto tv pensato ed elaborato solo in funzione di quello che vuole la gente tradisce la sua stessa funzione, che dovrebbe avere un carattere formativo, educativo, ispiratorio e stimolare le intelligenze anche sul piano dell’innovazione e della ricerca.
Si tratta tuttavia di un aspetto che suscita la riflessione su tutto il settore dell’offerta culturale, così allineato e sottomesso alla legge dei numeri e appiattito unicamente sulla richiesta di un pubblico che nel frattempo è sempre meno informato, meno colto e meno recettivo.
Un pubblico bambino che deve avere l’illusione di aver scelto la sua trasmissione, il suo telefilm, il suo film al cinema e il suo spettacolo teatrale.
Un pubblico sempre meno aperto all’innovazione (“Quando un autore cambia, fa incazzare i suoi spettatori”) e intontito dalla ripetitività dei palinsesti tv e dal cinema, anch’esso televisivo, così come dai vari modelli culturali imposti dall’alto.

Al di à dei corretti risentimenti nei confronti dei vertici RAI, Santoro ha evidenziato una ferita profonda che riguarda un problema più vasto dell’informazione e della gestione della cultura in Italia.
Lo ha fatto dal suo palco col piglio del primattore e se anche in passato alcune sue scelte e certi suoi atteggiamenti possono aver destato qualche perplessità, siamo convinti che dalla trincea in cui è stato relegato da amici e nemici era arrivato il momento di trasmettere un segnale deciso non solo ai vertici della RAI e a quelli politici.

Un paese che segue solo i sondaggi e i dati Auditel non ha solo uno spazio di manovra ristretto, ma anche un futuro pericolosamente limitato.

Stefano Pierpaoli
21maggio 2010