Grand Hotel Burqa
Chissà se potevamo osservare in profondità. Quasi sicuramente potevamo guardare. Almeno rispetto a quello che ci veniva messo di fronte.
Forse potevamo ascoltare. Riuscivamo a sentire tutto ciò che arrivava filtrato.
Parlare era più difficile. Senza un viso. Senza poter mostrare il movimento delle labbra. Esprimersi in quelle condizioni è quasi impossibile. L’espressione ha bisogno di gesti, di movenze, di rivelazioni.
Senza svelamento non c’è consapevolezza e non c’è scambio né riconoscimento.
Per parlare occorre riconoscersi.
Così parlavamo poco e sempre di meno. Ci dicevamo poche cose. Quelle che ritenevamo essenziali. Ci facevamo bastare il minimo. Perché il minimo può diventare una buona regola.
Quello che potevamo guardare però era molto attraente.
Non serviva sforzo né espressione. Ce lo mettevano davanti e in quel modo ne diventavamo parte. Musiche e parole, certo, ci arrivavano filtrate ma il volume era talmente alto che ci entrava nel cervello fino a occuparlo tutto.
Era bellissimo. Tutte quelle immagini, tutti quei suoni e noi immersi in atmosfere sempre nuove.
Per la verità non erano proprio nuove ma erano talmente tante e così rapide che non facevamo in tempo a ricordarle. Per questo era sempre tutto diverso e avevamo la possibilità di cambiare scena perché era lei stessa che mutava di fronte ai nostri occhi.
Come durante una vacanza in un albergo di lusso di un luogo incantevole. Si può non fare niente e vivere delle meraviglie in cui si è avvolti. Si sta bene anche facendo il minimo. E il minimo può essere una buona regola.
Di fronte a quella ruota piena di colori e avevamo perfino la possibilità di camminare accanto all’immagine più accogliente. Che bello perdersi in quel sogno e lasciarsi trasportare lontano.
Non abbiamo mai capito chi fosse il padrone di quella ruota ma sceglieva il meglio per tutti noi.
Però quando qualcosa non ci andava bene potevamo anche protestare. Ah! Altro che se potevamo. Potevamo far girare la ruota più velocemente o più lentamente e potevamo gridare. Anche senza espressione si può gridare e contestare. In quei momenti, quando alzavamo i toni, ci sentivamo importanti e le nostre voci erano così numerose che al padrone della ruota arrivava un fracasso assordante. Ci univamo, eravamo pieni di passione e staccavamo le immagini dalla ruota e le facevamo girare tra noi. Eravamo un fiume in piena che travolgeva tutto.
A dire il vero non proprio tutto perché il grande albergo che ci ospitava era diventato come la nostra casa. Malgrado avessimo la bocca coperta c’era comunque il modo per farci mangiare. In quelle condizioni lì è quasi un miracolo mangiare e non si può distruggere il luogo in cui ti risolvono il pranzo.
Guardavamo, ascoltavamo e spesso urlavamo. Ci portavano da mangiare e guardavamo la ruota.
Anche domani la racconteremo così. E dopodomani ancora.
Sarà sempre al passato perché in questo hotel si vive solo del presente.
Il presente che possiamo vedere era sempre nuovo e diverso e noi non volevamo pensieri.
Stefano Pierpaoli
20/11/2020