Fine del tempo dell’indifferenza

7 aprile 2025

“Il mondo non sarà distrutto da quelli che fanno il male,
ma da quelli che li guardano senza fare nulla.”

Albert Einstein

Per troppo tempo abbiamo confuso la neutralità con la saggezza, l’ottimismo con la rimozione, la retorica dell’unità con l’abdicazione al senso critico. L’indifferenza è diventata una forma di partecipazione negativa, silenziosa ma devastante.

Questo atteggiamento si è nutrito di un’idea prosaica di progresso, dove “va tutto bene” è diventato il mantra di chi non vuole vedere. E mentre si celebrava una fragile armonia di superficie, si sono volutamente ignorate, coperte o minimizzate le disuguaglianze, i conflitti, le storture più evidenti della società. La pace è stata invocata più come quieto vivere che come giustizia.

Come ammoniva Hannah Arendt, l’orrore può diventare “banale” quando viene normalizzato e ignorato. Gramsci parlava dell’indifferenza come della “peste del mondo moderno”, perché chi non prende posizione finisce per favorire sempre chi ha più potere.

Anche nel campo dell’arte e della cultura, questo tempo ha oscillato tra l’enfasi e la retorica, illudendoci che bastasse ripetere lo slogan di una indefinita “bellezza” per evitare il dominio della volgarità.
Ma oggi è chiaro che la coscienza non può più essere delegata, né addormentata.

Finisce il tempo dell’indifferenza. Comincia quello del coraggio silenzioso, della responsabilità attiva, della parola che pesa, che si assume rischi, che rompe il coro quando serve.
In una società assuefatta al rumore e all’immagine, il coraggio non è alzare la voce, ma darle un senso.
La responsabilità non è esibita, ma praticata.
La parola, per contare, deve tornare a essere vera, nuda, necessaria.