Mara Nanni rivede i “suoi” giudici

Dopo 25 anni, Mara Nanni rivede i “suoi” giudici Dopo 25 anni la Nanni rivede i “suoi” giudici ROMA – Si sono rivisti venticinque anni dopo quei tragici fatti, nel salotto televisivo del “Maurizio Costanzo Show”. Si sono incontrati e hanno discusso della nuova minaccia terroristica Mara Nanni, brigatista condannata all’ergastolo nel processo per l’omicidio Moro, e i giudici che emisero quella sentenza, Severino Santiapichi e Antonio Abate. La donna, che non ha mai ucciso, si vide infliggere il carcere a vita perché ritenuta responsabile di “banda armata”: avrebbe trasportato e consegnato armi che servirono per azioni delle Brigate Rosse. Santiapichi e Abate la condannarono alla fine di un processo che vedeva imputati, con responsabilità anche più gravi, altri 62 esponenti delle Brigate Rosse. Il dibattito con la Nanni e i due giudici andrà in onda questa sera. Vi partecipano anche il direttore del “Messaggero” Paolo Gambescia, il direttore di “Liberazione” Sandro Curzi e il capo del cappellani di Rebibbia, don Sandro Spriano.

Vita di una brigatista

Vita di una brigatista, un libro su Mara Nanni La NuovaPresentata in città la storia di una “dissociata” Vita di una brigatista, un libro su Mara Nanni OLBIA. Mara Nanni è una donna minuta, magra, con i capelli neri a caschetto. È madre di due figli, campa facendo le pulizie e la baby sitter. Era venticinque anni fa una delle figure più celebri del terrorismo italiano. Militante di base delle Brigate Rosse nella capitale, venne arrestata nel 1974 e condannata all’ergastolo. Trattata come una irriducibile, veniva chiamata «la Viet» per il suo carattere, la condotta in cella, nei processi. Non aveva mai sparato un colpo di arma da fuoco, mai ucciso o ferito. L’ex brigatista era a Olbia martedì sera nella piazzetta Santa Croce, a presentare un libro («…E allora», edizioni Interculturali, Euro 11) scritto con Stefano Pierpaoli, romano come lei, aspirante scrittore di 38 anni incontrato sulle rive di un lago. Lei era appena uscita dal carcere, dopo che in appello la pena era stata ridotta a 15 anni: con un figlio a carico, interdetta dagli uffici pubblici, nell’impossibilità persino di ereditare la licenza di un negozio del padre nel frattempo morto. «…E allora» racconta sotto forma di romanzo la vicenda della brigatista, con qualche sovrapposizione retorica che sembra del coautore più che della protagonista. Mara Nanni esprime invece nelle poche pagine del libro, scritte in corsivo, nelle quali parla in prima persona, la stessa efficacia del discorso, nettezza antiretorica, la stessa asciuttezza del suo fisico. Presentata da una giornalista del «Messaggero», l’ex brigatista ha detto del libro e della sua esperienza che ha deciso di far conoscere: «Molti mi avevano chiesto di raccontare la mia storia. L’ho affidata a Stefano Pierpaoli perchè mi sembrava che potesse raccontarla con la semplicità della quale avevo bisogno». La brigatista era finita una prima volta in carcere per avere partecipato a una manifestazione, era stata pestata, torturata, chiusa in isolamento perché creduta un’altra. Aveva scelto la clandestinità perché segnata da questa esperienza, dall’odio della vittima contro i carnefici: trascorre molti anni della sua detenzione dopo il secondo arresto e la condanna che sembrava definitiva («Fine pena: Mai», era scritto nel suo certificato), prima di maturare una scelta personale di dissociazione, di ricerca di un via pro- pria al godimento di spazi di libertà, di affetti, una propria difficile sessualità. La detenzione alla quale è sottoposta è durissima per molto tempo, disumana, lei reagisce alle violenze dei secondini e le alimenta («il carcere è un luogo dove le mediazioni non sono possibili», dice). Cerca rapporti con i detenuti comuni, comincia a trovare insopportabile la consegna delle Br a fare vita organizzata anche nelle condizioni di cattività alla quale sempre più numerosi ex militanti sono costretti dalla fine degli anni settanta. Nessun pentimento, riconoscimento degli errori, semmai: quello fondamentale di non avere ripudiato la violenza, la morte di decine di persone come mezzo per il raggiungimento di un’utopia rivelatasi impossibile, costretta a ripiegare anche nelle sue forme pacifiche per i danni della lotta armata. Questa ricerca, l’emancipazione dall’ideologia, dall’appartenenza, dalla logica del gruppo, Mara Nanni scopre che la stanno facendo anche altri ex Br, che alla fine è la scelta di quasi tutti. U.C.

Diario di una brigatista sentimentale

Diario di una brigatista sentimentale Diario di una brigatista sentimentale Luca Mastrantonio Nella lotta armata Mara Nanni è entrata anche per amore di un noto brigatista, coinvolto nell’omicidio Moro, che alla Nanni è costato quindici anni di carcere: E allora? Non è solo il titolo del libro a lei dedicato e con lei scritto da Stefano Pierpaoli (ed. Interculturali, pp. 216, euro 11,00), ma anche l’insolente e disarmante reframe con cui la Nanni sfibra le domande di quanti vivono “nella convinzione di essere in credito con te”. Nessun gossip, quindi, su brigatisti latitanti, nessun retroscena né un nuovo (l’ennesimo) teorema politico per inquadrare gli anni di piombo in una cornice più o meno rassicurante, ma un diario scritto a due voci, quella di chi racconta la sua storia e quella di chi deve intrecciarla in quell’unità dotata di senso che è un romanzo. Un romanzo in terza persona, scritto da Stefano Pierpaoli (classe ‘64), un estraneo con un passato quasi ordinario rispetto alla brigatista, tra commercio, distribuzione cinematografica e un po’ di giornalismo (e una costante passione per la vela), prima di incontrare Mara Nanni e scrivere finalmente il libro che forse, per anni, tra mille manoscritti incompiuti, non aveva mai finito. Appartiene ad un’altra generazione rispetto alla Nanni e però ha “provato a paragonare la mia rabbia a quella rabbia. Ad accostare le mie ribellioni a quelle ribellioni”. Ed è la continua ribellione di Mara alla fine anche contro le Br a segnare il ritmo di questo romanzo, un romanzo di formazione forzata, dal contesto sociale di lotta e poi dal carcere, ma soprattutto forzata dal carattere indomito e ribelle di Mara. Scritto con una prosa cruda e graffiante, il libro – e in fondo la vicenda della Nanni – nella prima parte paga dazio di una vita pasturata a rivendicazioni e proclami poco metabolizzati, farcendosi a volte di inevitabili inserti ideologici e parole dal suono un po’ retrò (che però rispecchiano lo spirito del tempo). Ma alla lunga viene fuori il senso autentico di questa storia, che non va cercato tanto nella gestazione del delitto politico non direttamente compiuto ma partecipato quanto nel castigo vissuto in varie carceri, dove la Nanni ha sviluppato una coscienza dissociata nel senso più profondo e lacerante del termine (che va oltre e in un certo senso sta anche al di qua della dissociazione dalle Br che le è valsa una forte derubricazione di pena), scagliandosi contro la schizofrenia di tanti militanti che durante il processo la fissano con sprezzo e che “in nome della rivoluzione, per una società diversa, anche loro hanno affermato il diritto di ognuno al rispetto dell’esigenza personale. Possibile che pensino di trovarsi su due piani cosi separati? Del resto si deve poter vivere senza appartenere, senza dover spiegare, cercando di conciliare la vita con la propria sensibilità”. Alla fine nel libro sono un tutt’uno la sconfitta della brigatista e la sopravvivenza tra mille sofferenze e privazioni carcerarie della donna, ormai inquadrata nella società borghese che l’ha battuta, ma senza impedirle di rompere le righe quando e come vuole sul piano umano, sociale e soprattutto erotico-sentimentale, come testimonia l’ambigua conclusione della nota che la Nanni ha lasciato nel sito dedicato al libro (www.eallora.net): “Mi farò una doccia, renderò morbida la mia pelle con una crema profumata, e poi una bella maschera alle alghe sul viso. Evidenzierò le mie labbra con un rossetto color fuoco per farle diventare ancora più carnose, e se anche mi infilerò in un jeans e un maglione largo, nessuno mi riconoscerà come quella che è stata, o che chissà, è ancora. Sarò una magnifica e indefessa borghese che, con tutte le sue forze, cercherà di affermare una socialità diversa, diciamo… la socialità dello champagne. Anche se costretta ancora a lavare cessi e pavimenti”. Nessuna ammissione di resa: “Del resto si deve poter vivere senza appartenere, senza dover spiegare, cercando di conciliare la vita con la propria sensibilità”. Contro il terrorismo…e contro il conformismo.

Il Messaggero 6 agosto 2002

Il Messaggero 6 agosto 2002 GLI ANNI DI PIOMBO Mara Nanni: “Scusatemi, ho sbagliato” di RITA DI GIOVACCHINO ROMA – Mara Nanni, trent’anni dopo. Storia di una brigatista ribelle, di una “rabbiosa” ragazza anni ’70 condannata all’ergastolo più trent’anni. Fine pena? Mai. In realtà è uscita nel ’94, dopo quindici anni di carcere duro, su e giù per il circuito delle “speciali” da Messina a Voghera. Libera come quasi tutti i protagonisti di quella tragica stagione, dopo la dissociazione dalla lotta armata. Il ritorno alla normalità è stato difficile, ha un figlio di 14 anni, per mantenerlo fa la donna di servizio. Piccola, magra, i capelli neri tagliati a caschetto, un fascio di nervi, Mara ha raccontato la sua vita in un libro (“E allora?”, Stefano Pierpaoli e Mara Nanni, Edizioni Interculturali, 11 curo), affidando le sue memorie alla penna di un giovane scrittore, estraneo a quel l’esperienza politica per motivi generazionali, svincolato da ogni schema ideologico. Ma capace di trarre dalla vicenda, con una scrittura asciutta e sensibile, il senso più profondo di una testimonianza sulla generazione maledetta dell’attacco al cuore dello Stato”. Dalla simbiosi Mara-Pierpaoli ne è scaturita una biografia singolare nella memorialistica della lotta armata. Una storia minima, che oggi la protagonista non ha alcuna voglia di riscattare in modo political correct, avendo più a cuore la voglia di raccontare se stessa. Critici austeri e militanti severi, per dirla con Guccini, non ne hanno gradito l’impostazione che a dir loro racconta l’inutile storia di una ribellione privata, un romanzetto più vicino a Virginia De- spentes che a Rosa Luxemburg. Mara in effetti non fu mai una leader, né un’ideologa, ma un soldato semplice delle Br e come altre terroriste donne non ha mai sparato. Neppure un colpo nonostante i cinque omicidi che le sono piovuti addosso per i meccanismi delle leggi speciali. Cosa le rimproverano? Di non essere riuscita a costruire un “progetto politico” sulle sue spinte emozionali, ma ancor di più il coraggio di dire oggi: «Scusatemi, ho sbagliato». Del resto il suo libro esordisce in questo modo: “Di politica non capivo quasi nulla. Il mio era il frutto di un impulso, quella rabbia che mi rimbombava dentro per tutto ciò che sentivo ingiusto. Alle assemblee rubavo con gli occhi e con le orecchie. Cielo quante parole difficili, concetti aggrovigliati…. mi chiedevo: perché non parlano in maniera più comprensibile, non tutti hanno studiato tanto». Finita in carcere la prima volta nel ’77, durante una manifestazione, ne uscì 11 mesi dopo. Nelle Br entrò nell’ottobre 78: un anno di clandestinità, dubbi, infelicità e ripensamenti, il successivo arresto vissuto quasi come una liberazione. Nella lotta armata è finita per amore, innamorata di Alessio Casimirri, che in via Fani andò in compagnia di un’altra, lei era in carcere. Ora è in Sud America, ben protetto, tante chiacchiere sul suo conto. Mara non vuole parlarne: «Di Moro non so nulla, allora ci credevo e basta». Atteggiamento prepolitico, direbbero i critici severi. Delle sofferenze successive, della solitudine, delle violenze fatte e subite, soprattutto in carcere (“una struttura pensata per gli uomini, inadatta al corpo di una donna”) se ne consiglia la lettura nelle scuole.

Liberazione 30 luglio 2002

Liberazione 30 luglio 2002 Lì dove viveva Mara “Molte volte, nel corso degli anni, mi hanno chiesto di scrivere la mia storia. Molta gente, calata dentro vestiti di diversi colori che volevano scrivere quello che loro desiderano. Non ne avevo voglia, era una minestra riscaldata. Ancora stare lì a spiegare qualcosa che ormai sapeva e sa di muffa. Quello che continuamente mi domandavo, era il perché nessuno mi chiedesse cosa viveva Mara in quei momenti, dentro quegli spazi ristretti, quei tempi compressi e soprattutto come e casa vive ora, con 15 o 100 anni in più alle spalle” C’è un sottofondo di pudore e amarezza, c’è la dignità di una donna. Tanti anni di prigione e una vita vissuta e da vivere nelle parole con cui Mara Nanni, l’ex brigatista russa condannata all’ergastolo e a trent’anni durante il primo processo Moro, spiega come è nato “E allora?” (220 pagine, Edizioni Interculturali, di Mara Nanni e Stefano Pierpaoli), un libro a metà tra l’autobiografia e il romanzo con cui, infine, ha voluto raccontare. “E allora, da ieri in libreria, non è tuttavia un altro libro dal tono sensazionalistico, non si cimenta nel calderone delle tante “verità” sugli anni di pianto né sui pettegolezzi sui suoi protagonisti. È il racconto che segue il filo di una vicenda umana. È un libro a due mani, il frutto di un incontro casuale tra l’autrice e Stefano Pierpaoli, un giovane scrittore per vocazione che riesce a “violare” le vicende della protagonista con una esposizione anche neutrale, in cui si intravede un parallelo con una ribellione propria. Anche il tono è spesso quello di un romanzo, con l’autrice a tratti aspra, in altri momenti visionaria, sempre e comunque soggettiva nel tracciare la storia sua e del terrorismo in cui militò per scelta personale e politica. Da qui il racconto parte seguendo le sue scelte nei primi anni ’70, mondo dell’eversione di sinistra, gli eventi che portarono una giovane ragazza dalla militanza, poi ai primi arresti, quindi alla clandestinità. Poi l’arresto definitivo, le carceri speciali, le sbarre che rinchiudono una vita che ha ancora occhi per vedere e un cuore per sentire. Gli undici mesi di militanza nelle Brigate Rosse corrono in “E allora?” tra le emozioni personali di Mara, che piano piano perde quel senso di appartenenza, guarda da un’altra prospettiva, cambia nel profondo o si dissocia, non certo senza sconvolgimenti. Il racconto – che ospita anche le suggestive testimonianze introduttive di Maurizio Barbera, Annunziata Francola e Adriana Faranda – è dunque un altro tassello prezioso che arricchisce un’epoca della nostra storia già tanto percorsa, ormai quasi “storicizza”, su cui i due autori portano ora un’angolazione nuova, gli occhi della donna Mara Nanni. “Un libro, una storia – scrive ancora Mara – si intitola “E allora” e potrebbe iniziare con questa stessa domanda o esclamazione. Una domanda, una risposta. Ivan Bonfanti

Il Manifesto 30 luglio 2002

Il Manifesto – 30 luglio 2022 Una storia di ordinaria ribellione Dalle BR al carcere, la vicenda di Mara Nanni raccontata da Stefano Pierpaoli Storia di una soldatessa semplice delle Brigate Rosse. Mai ricoperti ruoli di rilievo nell’organizzazione, mai partecipato ad azioni eclatanti, mai sparato a nessuno. Condannata all’ergastolo più 30 anni di galera, derubricati a 15 dopo la dissociazione. Mara Nanni è stata liberata nel ’94 dopo aver scontato l’intera condanna. La sua storia, che entra a pieno titolo nella memorialistica folta della lotta armata italiana, non l’ha scritta in prima persona. L’ha raccontata a Stefano Pierpaoli, di dieci anni più giovane, uno che la vicenda degli anni ’70 non la ha vissuta: la guarda e la interpreta di riflesso, attraverso i racconti della protagonista, ed è uno degli elementi che segna, nel bene e nel male, il libro che firmano insieme…E allora?, pubblicato dalle Edizioni Inter- culturali, pp. 220, Euro 11.00. Per come emerge dal libro, quella di Mara Nanni non è la vicenda di una rivoluzionaria comunista, ma di una ribellione giovanile e confusa, in cui le emozioni private e la rabbia per le ingiustizie del mondo si sommano e si intrecciano, formano una miscela deflagrante, non diventano mai progetto politico. Non è la storia raccontata dai leader delle Br, i Curcio o i Moretti. Non è neppure il tentativo di misurarsi con la sovrapposizione tra spinte individuali e politiche in cui si è cimentata Barbara Balzerani. Ma è una testimonianza che rende ragione dell’esperienza reale di centinaia di giovani di quegli anni, non necessariamente finiti nelle organizzazioni armate. È un atto di ribellione indomito e a modo suo privato quello che segna la prima e fondamentale cesura nella storia di Mara Nanni. La sera del 12 marzo 1977, dopo la manifestazione di Roma, ore di scontri e spesso di spari, viene fermata insieme a due compagni  di fronte a Regona Coeli. Uno dei due tira fuori la pistole, apre il fuoco. In carcere finiscono naturalmente anche gli altri due pur non avendo ancora niente a che vedere con la clandestinità. Mara Nanni rifiuta però di declinare le sue generalità, resta in silenzio mentre alle domande si sostituiscono botte sempre più violente, oltre i confini della tortura. La scambiano per Maria Pia Vianale, appena evasa, e pestano più duro. Uscirà di galera dopo oltre un anno di carcere preventivo, condannata solo per oltraggio e mancata presentazione dei documenti. Gonfia di rabbia, matura per scegliere davvero il partito armato. Una storia da romanzo: richiama più Virginie Despentes che Rosa Luxemburg. Il seguito è la clandestinità, la militanza in una struttura rigida vissuta con convinzione sempre minore, dubbi crescenti, infelicità e insoddisfazione, e tuttavia mai messa in forse, neppure quando l’amica Adriana Faranda la invita a lasciare le Br per dar vita a un altro gruppo armato, più duttile. Il seguito è soprattutto la prigione, il circuito di carceri speciali fino all’inferno asettico di Voghera Un percorso narrato da tante voci maschili, ma da quasi nessuna al femminile. Le amicizie, il braccio di ferro continuo con una struttura nata per spezzare ogni ribellione, le strategie di sopravvivenza, minimaliste e immense, che le permettono di restare viva, di non rinunciare ai sogni e all’allegria. Solo che in realtà quella battaglia non inizia quando dietro Mara Nanni si chiudono le porte del carcere, ma prima, con l’ingresso nelle Br. La clandestinità è vissuta con tale e tanta sofferenza che persino l’arresto suona come una specie di liberazione. E allora? è dunque anche la storia di un pentimento (non nel senso che la parola ha acquistato nelle aule penali). Non è solo l’esperienza armata a venire rinnegata con parole che non sfigurerebbero in bocca a Silvio Berlusconi («Intollerabile crudeltà criminale», «Follia omicida di un manipolo di evanescenti rivoluzionari», ecc.). L’intero movimento gode di un simile trattamento, come quando a proposito degli incidenti del 12 marzo ’77 gli autori scrivono: «La voglia distruttiva della mandria impazzita si propagò in maniera istantanea. Sconvolti e accecati da uno scellerato furore animale si scagliarono contro tutto ciò che incontravano». Sono parole scritte da Pierpaoli, va da sé, ma il racconto che le ispira è della protagonista diretta. I toni, comunque, sono indicativi di un’esperienza vasta, anche se raramente espressa con tanta virulenza. È la vicenda non di un generazione politica sconfitta, cosa tutto sommato non così rara, ma di una generazione politica che ha finito per abbracciare se non il punto di vista del nemico di allora, almeno il giudizio su se stessa che dava quel nemico. Quella esperienza ormai storica è un nodo che ancora pesa e intralcia ogni tentativo di ricostruire un movimento di rivolta in questo paese. La storia di Mara Nanni certo non scioglie quel nodo. Però aiuta a comprenderlo.