Manifesto 28 aprile

+Cultura Accessibile Ragionamento di sistema per il Welfare e la Democrazia culturale 28 aprile 2020 Ci troviamo di fronte a una frattura nella storia della civiltà umana. La pandemia e la crisi economica che ne deriverà rischiano di produrre una profonda disgregazione sociale aumentando il disagio e le diseguaglianze. Fenomeni degenerativi, a vario livello già presenti nelle nostre comunità, potranno subire una forte accelerazione. Le giuste e irrimandabili istanze economiche che provengono da numerose categorie devono poggiare sull’elaborazione di processi innovativi in grado di garantire riferimenti definiti e solide prospettive. Il distanziamento sociale, la drastica trasformazione delle nostre abitudini, la chiusura degli spazi aggregativi uniti all’incremento dei disagi e all’aumento della povertà rischiano di determinare fenomeni di disabilitazione dell’individuo e di de-socializzazione all’interno delle nostre comunità. Abbiamo il dovere di contrapporre con urgenza a questo pericolo modelli solidi e condivisi che costituiscano un argine per tutelare l’armonia sociale e garantire equilibrio e benessere alla cittadinanza. La questione cruciale che riguarda la produzione e la fruizione dell’offerta culturale del prossimo futuro è legata all’accesso tanto per chi produce i contenuti quanto per chi ha il diritto di fruirne. È urgente porre tra le priorità imprescindibili la ricostituzione di un valido tessuto culturale perché l’esperienza nella cultura dovrà rappresentare uno dei principali motori di rinascita e di ricomposizione sociale per tutta la collettività, senza escludere né lasciare indietro nessuno. Deve essere affermato il principio che sancisca il ruolo della cultura non come prodotto ma come processo di qualificazione sociale e di garanzia democratica. Esiste un concreto pericolo di aumento delle disuguaglianze e la democrazia culturale deve diventare lo strumento insostituibile per ciascun cittadino per affrontare le difficili sfide del futuro. Serve un patto tra le Istituzioni, gli operatori della cultura e la cittadinanza affinché si determini un percorso collettivo e sinergico grazie al quale, già tra qualche mese, esistano i presupposti per un rilancio del Paese in un clima di fiducia e cooperazione. Recupero del rapporto tra cultura e cittadinanza Rilancio economico, formazione, crescita sociale, sinergia con il territorio Esiste la necessità, che al tempo stesso è una grande opportunità, di realizzare: un sistema di maggiore inserimento al lavoro e di aumento delle opportunità nel mondo della cultura che vada di pari passo con una più numerosa, attiva e consapevole partecipazione della popolazione; un sistema in cui la formazione professionale e artistica nel mondo della cultura si accompagni a una valida ed efficace formazione del pubblico del futuro; un sistema nel quale la tutela e il rilancio dei presidi culturali di prossimità accompagnino gli impulsi di rigenerazione urbana dei luoghi che abitiamo. Riconoscimento professionale, identità, legittimazione, rigenerazione urbana Grazie a questa complessiva riformulazione dell’offerta e della fruizione culturale: la ridefinizione dei profili artistici e professionali in un contesto di impegno culturale e sociale garantirà una più significativa vicinanza con il pubblico e parallelamente fornirà maggiori elementi di tutela a tutti i lavoratori della cultura e dello spettacolo; in un contesto espressivo più sinergico e consapevole verranno assicurate ai cittadini esperienze e percorsi con un più partecipato intervento culturale e sociale; l’offerta culturale maggiormente socializzata in un clima più vivace di proposta e di scambio consentirà ai talenti un’area più ampia di espressione in forme e linguaggi non sottomessi al mercato e accrescerà gli spazi produttivi e distributivi con un riscontro di più ampio spessore da parte di un pubblico più preparato e partecipativo; sarà rivitalizzata una grande quantità di spazi presenti sul territorio, offrendo posti di lavoro e contribuendo alla riqualificazione urbana e sociale di tante aree nevralgiche ma spesso marginalizzate dei nostri centri abitati. Questo è in estrema sintesi il panorama culturale di impulso e di crescita che più di ogni altro garantirà di recuperare potenzialità sociali ed economiche capaci di liberare la popolazione dalle probabili condizioni depressive che si presenteranno. Servono interventi e investimenti sistemici e correttamente pianificati a favore della qualificazione sociale al fine di produrre benefici reali ed eliminare le disuguaglianze e le sproporzioni prodotte da modelli fortemente disequilibrati e discriminanti. Per raggiungere questo obiettivo occorre limitare la tendenza all’evento così come la subalternità al modello dei bandi e promuovere percorsi costanti che generino autentici processi culturali, formativi per l’individuo e responsabili in un’elaborazione posta al servizio del bene comune. Abbiamo il dovere di ricomporre l’offerta culturale affinché offerta e fruizione facciano sistema con la società. WELFARE CULTURALE Per raggiungere questo ineludibile obiettivo dobbiamo ripensare e rifondare un modello di Welfare Culturale ancora debole e impreciso. Fissato su riferimenti retorici e troppo esposto ai capricci e agli abusi delle politiche nazionali e locali, il Welfare Culturale, fondamentale per la tenuta degli equilibri sociali, esige svecchiamento e depurazione. Non possiamo più rimandare la definizione di un paradigma capace di interpretare il bisogno sociale attraverso un intervento culturale finalizzato al superamento delle solitudini e delle alienazioni proprie del nostro tempo. La cittadinanza nel suo complesso rivendica, più o meno consapevolmente, il diritto a un’architettura di partecipazione culturale che accresca il valore sociale dell’individuo in termini di centralità e di protagonismo nella qualità del peso specifico che ogni esistenza ha il diritto di esprimere. La subalternità patologica dei corpi intermedi culturali alle esigenze di consenso elettorale delle amministrazioni locali e centrali produce pesanti ricadute nel tessuto sociale in termini di libertà e di capacità espressiva. La rivitalizzazione dei corpi intermedi, cerniere dialoganti, a diversi livelli, tra le comunità e i governi sarà nell’immediato futuro una delle pietre angolari della nostra architettura sociale. Un nuovo Welfare Culturale, capace di trasmettere impulsi produttivi e di favorire la connettività tra i cittadini, garantirà un margine più ampio di creazione di lavoro grazie alle sinergie e alle interdipendenze originate da un’innovazione sociale propulsiva e concreta. CULTURA ONLINE E OFFLINE Si sta delineando uno scenario sempre più tendente a un’offerta culturale ridotta nei confini dello streaming. Un panorama caratterizzato da esperienze culturali a distanza, così come dall’insegnamento a distanza, rischia di aggravare forme di alienazione, dipendenza, controllo e disuguaglianza già presenti nella nostra società. La produzione culturale digitalizzata rappresenta senza dubbio un’opportunità di valore in

Un società da spiaggia

Si potrà andare in spiaggia quest’estate? È la domanda che riecheggia da più parti e che sembra una delle principali preoccupazioni degli Italiani. C’è chi ipotizza addirittura di realizzare box isolanti negli stabilimenti balneari. Agghiacciante. Siamo chiusi in casa da due mesi e pensiamo alla spiaggia. Siamo di fronte a un crollo economico e a una catastrofe sociale e pensiamo alle vacanze. Nessuno che dica: “ma che cazzo vi frega delle vacanze?” per paura di essere accusato di eccessiva severità o chissà di cosa. La vacanza è il bello, è il divertente, è il sereno. Meglio pensare a quella mentre si contano triangoli. Meglio allontanare la realtà. Meglio allontanare la verità. Quella che fatica a venir fuori e che si manifesta in maniera confusa e fallace in migliaia di notizie che rimbalzano tra un profilo e l’altro. Sarebbe il tempo di abbandonare tante terribile cattive abitudini e tante brutte distorsioni. Il pericolo è di aver perso del tutto le buone abitudini e le belle cose da fare. Tipo ricostruire un mondo come fecero i nostri nonni rimboccandosi le maniche animati da grandi valori e sani principi. Non ce le ricordiamo più e per le giovani generazioni non se n’è avuta testimonianza se non in qualche sbiadita e ipocrita rappresentazione. Abbiamo il privilegio di vivere la fine del mondo o la fine di un mondo. Facciamo in modo che sia la fine di un mondo per dare vita a un altro mondo migliore di quello in cui abbiamo vissuto. Non pensiamo alle vacanze. Non sogniamo di andare in vacanza. Facciamo sogni belli e autentici. Pensiamo a cose importanti.

Il crocevia delle nostre coscienze

Ineluttabilità della lotta di classe La pandemia che sta colpendo il mondo potrebbe essere la più grande catastrofe della storia. Tuttavia, in una società che può contare su enormi risorse tecnologiche e su una capacità di interconnessione rapida e precisa, la scienza potrà offrire nel breve periodo risposte e soluzioni capaci di contrastare l’avanzata del virus. Non si tratta di una previsione ottimistica. Nel drammatico momento che stiamo vivendo l’ottimismo sarebbe un errore imperdonabile. Questo sentimento ha già svolto il suo compito settimane fa, quando alle notizie provenienti dalla Cina i meravigliosi ottimisti pensavano: “vedrai che qui non arriva”. Dai balconi e dalle finestre arrivano musiche e canti. Ovunque si legge che andrà tutto bene. Tutti ci auguriamo che quei suoni euforici e che la visione fiduciosa troveranno l’epilogo che vogliono rappresentare. Il coronavirus lascerà un panorama profondamente diverso da quello che conoscevamo. Da quello che vogliamo immaginare all’indomani di questa tremenda esperienza. Non si tratterà soltanto delle macerie economiche prodotte da crolli finanziari e da giganteschi disavanzi pubblici. Saranno macerie interiori, ferite nelle nostre anime e incertezze inedite per la nostra cultura. Non tutto andrà così bene e ignorare uno scenario doloroso non è la scelta migliore. Non lo è soprattutto per le categorie più deboli ed esposte al disagio, alla marginalità, all’indigenza. Non lo è perché da troppi anni questa moltitudine di persone è stata abbandonata a se stessa. Non lo è perché è mancata una visione politica che riducesse le ingiustizie sociali e le disuguaglianze. C’è chi dice che parlare di classi sociali fa parte di un codice superato ma non è così. Si è certamente modificata la relazione tra appartenenza di classe e identità sociale e l’assenza di crescita e la progressiva alienazione subita dalla stragrande maggioranza degli individui hanno determinato la formazione di un tessuto generale composto da persone annebbiate e subalterne. In questo contesto le nuove classi sociali si sono disposte nel reticolato sociale raggruppandosi in funzione di aggregati omogenei. L’idea di Rete, tanto cara ai post-democratici, si è imposta come strumento principale di artefatta condivisione, di creazione di false consapevolezze, di simulata iniziativa movimentistica o politica. Le nuove classi sociali sono costituite di fatto da circuiti consolatori finalizzati a confermare l’appartenenza a un branco e un’identità creata e gestita da altri. L’appartenenza risulta legata a rituali e fenomeni partecipativi molto elementari. Fenomeni che allo squallore intellettuale e alla miseria morale uniscono molto spesso e malauguratamente la parodia dell’impegno sociale finendo nelle fauci del crimine, della finanza e degli assetti dominanti. In pratica andando a rinforzare quello che dicono di voler contrastare. L’identità individuale è invece la fedele proiezione del caos ideologico che scaturisce da questa assenza di riferimenti e l’ espressione collettivizzata di questa presunta identità è un continuo rave party fatto di idee confuse e di perdita di autonomia. L’agglomerato umano che si determina si manifesta quindi attraverso categorie ben definite. Una definizione facilmente producibile per la povertà culturale che ne caratterizza l’esistenza e per la patologica tendenza delle masse postmoderne a elemosinare la rappresentazione di se stesse. Come mandrie in cerca di cibo si spostano all’unisono. I padroni di quel cibo sono col0ro che controllano le masse. Ma che c’entra il Covid-19? Questa variabile inattesa fa saltare il sistema. I controllori che creano i bisogni non possono più esercitare condizionamenti. La mandria non trova più il cibo e gli aggregati omogenei che si riunivano sulla base di impulsi stordenti sono costretti a crearsi una consapevolezza nuova basata su esigenze impellenti. La questione centrale che riguarda l’oggi è quella di una popolazione troppo abituata a rappresentarsi nella sola dimensione del presente. Quindi le manifestazioni di euforia canora e le certezze su salvifiche soluzioni ormai prossime (andrà tutto bene), sono parte ancora dell’immediato (non mediato) riflesso a cui sono stati addestrati. Dispiace per i diffusori dell’hashtag #andràtuttobene ma non esistono avvisaglie che finisca così. Il segnale che arriva dalla pandemia è potente ed è ricco di significati. Ci fa ammalare, ci costringe in casa, ci allontana gli uni dagli altri. Come l’inquinamento, come la schiavitù dei media, come gli egoismi che attraversano la nostra società. Tutte disgrazie ben note. La solitudine e il silenzio che potremmo avvertire dentro di noi e intorno a noi dovrebbero spingerci all’introspezione, alla ricerca coraggiosa nelle nostre coscienze e al desiderio di nuove prospettive. Ma sappiamo ancora riconoscere i nostri sentimenti, esplorare quell’universo ignoto della nostra interiorità e trovare una strada ancora tutta da costruire per creare rinnovate prospettive? O abbiamo smarrito definitivamente il vero sentire, il vero emozionarci e il vero costruire relegandolo a sbrigativa rappresentazione da social e delegando le scelte che più ci riguardavano a classi dirigenti incapaci e criminali? Non sappiamo se il recupero di centralità da parte dell’individuo sarà la sfida più grande che abbiamo di fronte. Di certo sarà la prima da sostenere perché il crollo economico che dovremo affrontare avrà bisogno di donne e di uomini che sanno parlare con se stessi prima di scrivere compulsivamente un post. Che sanno specchiarsi e riconoscersi, perché così facendo riconosceranno l’altro in quanto alleato in una guerra che non ha precedenti. Una guerra che probabilmente farà miliardi di prigionieri perché ci svelerà con evidenza i muri delle prigioni in cui abbiamo vissuto. Stefano Pierpaoli 18 MARZO 2020

La padella, la brace e le storie tese

Beppe Grillo ha pronunciato una frase molto infelice riferita alle persone con autismo. Grillo è un personaggio estremamente negativo perché da anni esercita un’influenza velenosa e corrosiva sulla società. È una figura pericolosa perché lo fa dall’alto della sua fama, dall’alto della sua forte solidità economica, dall’alto del suo potere mediatico. Beppe Grillo è la classica mamma degli scemi e quando quella madre rovinosa partorisce in modo copioso il danno sociale che produce è molto elevato. Le sue parole sull’autismo hanno giustamente suscitato sdegno da più parti. Sul Fatto di oggi c’è l’intervento di Elio, quello della terra dei cachi (cit.) che ha un figlio con autismo e rimprovera Grillo dicendogli testualmente che quelle parole lo hanno fatto “proprio incazzare”. Poi però gli dice che basta chiedere scusa e se l’interlocutore è intelligente tutto va a posto. Che i genitori dell’autismo sono molto intelligenti. Poi cita Massimo Fini il quale ha scritto in difesa di Grillo che si dovrebbero risentire anche i ciechi e i sordi. Elio aggiunge che però se uno ha problemi di udito va dall’otorino, se uno ha problemi di vista va dall’oculista. Ehm…non so se una persona cieca o sorda possano avere grandi benefici da questi specialisti. Per lo meno non è così nella maggioranza dei casi. Temo che questa frase potrebbe scatenare altre polemiche. Poi Elio ci comunica che in fondo bastano quelle scuse dal sovrano dei grillini per chiudere la faccenda. Anzi, va oltre: chiede l’aiuto di Beppe Grillo per far applicare la legge! “La prego Signor Grillo, mobiliti le SUE forze per far applicare le leggi in gema di autismo”. In 40 righe siamo passati dall’incazzatura alla supplica con un intermezzo di un’altra cretinata di Massimo Fini con annessi commenti fuori luogo. Questo episodio testimonia il deficit culturale che frena i processi di inclusione e integrazione. È importante invece spendere ogni forza su questi processi perché certe parole non abbiano peso. Che un serpente velenoso come Beppe Grillo le dica o no deve diventare marginale perché una società matura e armoniosa si metterebbe a ridere senza sprecare energie a incazzarsi e senza dover supplicare il suo aiuto. E dopo quelle frasi lo neutralizzerebbe ignorandolo. Per sempre. Non sarà mai una legge a innalzare la cultura o far crescere il livello di civiltà. Lo ripeto da sempre e continuerò a farlo. Non saranno le incazzature e nemmeno l’esasperazione dei toni. Serve un lavoro di conoscenza, di informazione, di avvicinamento per creare consapevolezza e far maturare sentimenti costruttivi e sviluppare una coscienza sociale fatta di solidarietà e collaborazione. Le mamme degli scemi diffondono rabbia, disperazione e ignoranza. Abbiamo bisogno di impegno, di armonia e cultura. Stefano Pierpaoli

Costernati, scandalizzati praticamente ipocriti

Le recenti polemiche scoppiate sul caso di Maddalena Crippa che ha allontanato i traduttori LIS durante il suo spettacolo al teatro Argentina di Roma, evidenziano ancora una volta che uno strumento di accessibilità privo di un progetto culturale può diventare un boomerang per chi lo propone e dannoso per chi ne fruisce. La profonda costernazione e il disappunto più totale espressi dalla direzione del Teatro sono sentimenti sorprendenti se considerati nel contesto di una programmazione ben definita e di un lavoro perfettamente concordato tra tutti ma è chiaro a tutti che questa capacità organizzativa è mancata del tutto. Anche l’intervento del vice sindaco nonché assessore alla cultura Luca Bergamo risulta miseramente retorico e demagogico perché recita a memoria una poesia che poco ha a che fare con il processo inclusivo che deve scaturire dall’esperienza culturale. Processo tra l’altro smentito dall’approssimazione dell’iniziativa del Teatro di Roma.

Assalto alla battigia

Questi quattro mesi di campagna elettorale e di lavoro politico hanno confermato che il dissesto intellettuale è profondo, maturato progressivamente nel corso di un ventennio devastante che ha disarticolato le coscienze e la capacità di iniziativa. La maggior parte degli operatori hanno cominciato la loro attività proprio in questi ultimi 20 anni e non hanno quindi conosciuto altri modelli se non quelli dettati e derivanti da un sistema verticale, clientelare e cooptativo. In questo panorama diventa assai arduo elaborare una proposta alternativa ed è ancora più complesso affermare principi e pratiche in grado di operare fratture e cambiamenti.