Il Grande Dittatore

“La ruota e il freno hanno doveri diversi, ma ne hanno anche uno uguale: quello di farsi male a vicenda” Friedrich Nietszche Inermi spettatori di uno sconcertante balletto politico, riceviamo continui complimenti e sentiti ringraziamenti istituzionali per l’ordinata disciplina con cui rispettiamo le regole. La democrazia è il governo delle regole (sfido chiunque a definirla altrimenti) e noi siamo evidentemente cittadini democratici. Eric Hobsbawm, ne “Il Secolo Breve”, ha ben descritto le quattro condizioni che fungono da base e consentono la sopravvivenza della democrazia stessa. La prima è la sua legittimazione che deriva soltanto da un consenso diffuso e consapevole. In secondo luogo non devono esistere aspre contrapposizioni. La terza condizione è quella di un governo che non occupi troppi spazi decisionali. Infine, egli cita come vincolo indispensabile, la prosperità e il benessere della popolazione. Sembra che si parli d’Amore e in effetti è così. Riflettiamoci. Con un rispettoso inchino, esprimiamo gratitudine per le congratulazioni ricevute, ma, a ben guardare, siamo lontani assai dai confini individuati dal grande storico novecentesco. Nel DNA del popolo italiano non è mai esistito uno spirito realmente unitario, ma al tempo stesso siamo stati capaci di sviluppare anticorpi poderosi che ci permettessero di inventare percorsi comuni. È successo soprattutto nelle fasi di crisi profonda, nel dopoguerra in particolare, e ha prodotto effetti rilevanti e fortunati. Potevamo godere tuttavia di riferimenti politici di valore. Donne e uomini con il senso dello Stato. Figure istituzionali che si occupavano dell’interesse generale. Quando è implosa la Prima Repubblica, alla fine degli anni ’70, è crollata un’architettura politica solida e responsabile, lasciando il passo a bizzarri avventurieri che col tempo sarebbero stati sostituiti da farabutti e da altre figurine senza peso. Questi arruffati manichini, carichi di potere, amano da molti anni trascorrere il loro tempo in un risiko volgare fatto di nomine, di concessioni e di privilegi che servono a gonfiare gli strumenti di dominio e le tasche dei loro prestanome. Il gioco è scoperto ormai da tempo, basti pensare all’Alitalia per arrivare all’ultima idiozia della Netflix della cultura. Questo luna park per loro sarà anche divertente ma gli effetti sono disastrosi, soprattutto in un frangente nel quale giocare è una follia immorale e la tendenza allo svago diventa un comportamento criminale. Tutti noi, seppure incatenati da una pandemia, sapevamo bene che al momento della torta sarebbe cominciata una squallida rissa da bar, ma per un attimo abbiamo sperato che si accendesse almeno uno scampolo di intelligenza nelle menti rinsecchite dei nostri politici allo sbaraglio. Ci siamo illusi. Scoccata l’ora infatti della consegna dei compiti, alias la presentazione dei progetti per ottenere i fondi, tutti col foglio bianco e senza avere idea su cosa si debba fare, sono saliti sulla cattedra e hanno cominciato a urlare. Il nulla che rivendica il nulla. Sciocchi e mortalmente ingenui, nel parapiglia hanno fatto cadere la clessidra che stava scandendo un tempo. Che si sia rotta o no, quel tempo scorre lo stesso e ogni ora che passa, nella situazione attuale, pesa quanto un anno. E un anno lo abbiamo già sprecato a parlare di vacanze e di aperitivi. Ogni imbecille delinquente che punta i piedi per assicurarsi una fetta più grande della torta, lo sa, ad esempio, che in Italia le opere che costano più di 100 milioni di euro hanno bisogno di quasi 16 anni per essere ultimate? E lo sa che tra qualche mese potremmo trovarci in un paese con 25/30 milioni di poveri? Non siamo in un quiz televisivo ed è bene che lo capiscano presto, perché quel potere su cui credono di poter poggiare la loro disonestà, è un castello di carta su cui si è già abbattuto un padrone più grande. È un tiranno severo che non porta alle giostre e non compra zucchero filato. Il lago fatato, in cui sguazzavano come piranha per addentare tutto il mangiabile, si è seccato, e tutti i re ormai nudi che prima spargevano favori, sono al centro di un deserto con intorno un popolo stremato. Sta finendo un anno drammatico e sarebbe un peccato se dovessimo ricordarlo con nostalgia. Noi, da inermi spettatori, sudditi rassegnati, abbiamo il dovere di crescere in fretta e diventare donne e uomini che si accorgono del luna park e scelgono altro e di più. Un dittatore è arrivato e altri sono dietro l’angolo ad aspettare un crollo. A provocare il crollo. I loro complimenti tra poco non basteranno più e il vaccino più veloce della storia non ci restituirà il benessere che, forse in tanti, non abbiamo mai conosciuto. Sta arrivando il momento di pretendere il benessere vero, per noi stessi e soprattutto per le giovani generazioni su cui si stanno ammassando tanti e troppi debiti economici e morali. Il ricatto della continua emergenza distrae dai bisogni, ma non li risolve. Deve arrivare il tempo delle idee, di quelle coraggiose e limpide, piene di dignità. Le visioni che cacciano via la solitudine e che sanno costruire e che spingono a mantenersi accanto all’altro. Importanti e indispensabili l’uno per l’altra. Ora siamo un esempio di popolo che aspetta o che osserva il dittatore senza muovere un dito. Dobbiamo diventare un popolo di esempio e rimettere in piedi una democrazia degna di chiamarsi tale. Non esiste altra garanzia e non c’è una salvezza che non parta da lì. Stefano Pierpaoli 12/12/20

Dalle donne alla luna

Mary Wollstonecraft (Londra, 27 aprile 1759 – Londra, 10 settembre 1797), filosofa e scrittrice britannica, considerata la fondatrice del femminismo liberale Dalla Terra alla Luna «La felicità è una porta che si apre dall’interno: per aprirla, bisogna umilmente fare un passo indietro».Søren Kierkegaard Gli anni ’80 sancirono il fallimento del femminismo. Il movimento non aveva elaborato né proposto un’alternativa culturale e alla fine fece il gioco del sistema. Il capitalismo moribondo si servì della donna in quanto manodopera a basso costo (dopo mezzo secolo ancora parliamo di disparità di salari) e strumento di veicolazione per i modelli totalitari e frastornanti. Non l’unico strumento ma probabilmente il più esibito.Questa esposizione, nella società narcisista, rende la donna uno dei principali bersagli di una violenza che è andata progressivamente aumentando, stimolata dagli eccessi mediatici nelle sue diverse forme.Quando, con l’utilizzo del Web, siamo noi stessi diventati canale mediatico, abbiamo riprodotto fedelmente sia il modello totalitario che l’impulso violento, esasperandoli ancora di più ed elevandoli a sistema esistenziale di riferimento.Il modello narcisista, declinato nelle sue diverse manifestazioni e assimilato fino al nostro midollo, si è diffuso senza incontrare ostacoli e ha determinato tutti i disequilibri su cui l’ideologia del mercato fonda il suo potere e le sue strategie. Uno schema spietato che vuole violenza.Ogni invettiva e ogni accusa che mettiamo in rete, alimenta questa spirale di abuso in un vortice nel quale infiliamo anche il nostro privato, mortificandolo fino a legittimarne la violazione. Colpa del femminismo? Certo che no e ci mancherebbe pure.La responsabilità è del vuoto culturale in cui è sprofondato un sistema di valori sui quali fino agli anni ’70 avevamo costruito la nostra storia individuale e collettiva. Un vuoto che ci ha reso schiavi, disorientati e inermi rispetto alla società dei consumi.Non siamo più consumatori: siamo diventati il prodotto. Messi sul bancone delle tv, dei giornali, dei social e della politica, veniamo rappresentati solo in quanto clienti, utenti ed elettori.L’aspetto più inquietante e drammatico è però quello che siamo noi stessi a facilitare il disastro attraverso le nostre azioni. Siamo noi stessi che obbediamo a quel modello e ne accresciamo la forza. Un suicidio di massa nei confronti del quale il Covid-19 è davvero un’influenza stagionale come qualcuno vorrebbe credere (e far credere).In altre epoche il tiranno, per sottomettere il popolo, doveva muovere truppe, sviluppare metodi di repressione, predisporre strumenti di controllo. Ora gli basta metterci in mano una tastiera e lasciarci agire “liberamente” per farci essere subalterni e sotto controllo. Il tutto avviene in totale, apparente autonomia.Il gesto inconsapevole che facciamo in modo compulsivo per provare a colmare le nostre frustrazioni, è guidato dall’istinto narcisista e genera una brezza tossica che accumulata alle altre si trasforma in uragano.In questa tempesta ci lasciamo trasportare passivamente in una giostra di ritualità che offrono l’illusione del protagonismo, dell’amicizia, dell’accoglienza. Gratificati e disperatamente aggrappati a quel consenso fittizio, che è finta approvazione e inutile adesione, il nostro narcisismo trova la sua dimora e il suo appagamento. Per qualche minuto sicuramente.Ogni sera e a ogni risveglio verifichiamo il sondaggio su di noi che ci viene restituito dal Web. Ci sentiamo meno soli e meno inutili. Abbiamo solo conferme e questo ci rassicura. Così aggiungiamo una nuova brezza inquinata e ripetiamo il giro.Nel nostro Paese, oltre la metà della popolazione è offuscata da analfabetismo funzionale. In questo girarrosto siamo una preda facile per chi controlla la politica e i Mass media.Mai nella storia dell’umanità, si è attraversato uno scenario così devastante dal punto di vista antropologico. L’individuo, spogliato del suo patrimonio di tradizioni, memorie e simboli, obbligato a vivere in funzione della produzione, del consumo e degli affari, è ridotto, come mai prima d’ora, a una miseria morale e spirituale, senza altre mete che non siano quelle economiche nel senso più spiritualmente povero del termine. Non si tratta di demonizzare il Web e sarebbe sciocco indicare un colpevole specifico analizzando un processo complesso che va avanti da tanto tempo.Bisogna invece affrontare un ragionamento etico che parta da una riflessione sui nostri comportamenti per arrivare all’elaborazione di modelli di benessere.Proprio dalle dimensioni che più di altre ci hanno reso subalterni e inerti può nascere quel moto di legittima ribellione che ci permetterà di recuperare spazio vitale propulsivo ed elementi di sana umanità.Il peggior nemico del narcisismo è la consapevolezza del narcisismo stesso. Riconoscere la molla, il gesto e la reazione che sono legate a questo fenomeno ne limita l’influenza.Il primo passo potrebbe quindi essere quello di un più consistente stato di comprensione del chi siamo sulla base di ciò che generiamo.Il richiamo è chiaramente legato al principio di responsabilità ed è su questa base che si deve poggiare il processo di autodeterminazione che anche la Storia ci sta chiedendo.Siamo giunti a un bivio che richiede una presa di coscienza che vada aldilà degli schemi convenzionali ormai accettati universalmente. Dall’appiattimento sul presente (Es: filosofia dell’emergenza e cultura dell’immagine) dobbiamo passare alla ricomposizione del presente e alla progettazione che ne può derivare.Se non si è in grado di interpretare la realtà contemporanea, il nostro orizzonte rimarrà frustrato e resterà limitato all’accusa e all’invettiva (rabbia narcisista).Se però verrà riconquistata un’ambizione più pura, libera da arrivismi miseri e individualistici, tornerà anche la voglia di conoscenza e con essa la possibilità di tornare liberi.È un percorso culturale obbligato, fondato sul riconoscimento di valori sepolti da riaccendere e sul riconoscimento del nostro autentico spessore umano.Occorre avviare il viaggio arduo che si muove lungo la rotta della verità, e lungo il tragitto bisogna individuare e scegliere la cosa giusta.Questo è il fattore che aiuterà tutti noi a comprendere chi siamo e dove ci troviamo ed è questa la forza che potremo mettere in campo per far valere il diritto di essere umani e vivi.Non è rimasto nessuno spazio ulteriore da regalare al tiranno e siamo alla vigilia di un periodo che segnerà “un prima” e “un dopo”.La felicità è costruzione.Facciamo un passo indietro e ricominciamo a imparare e a costruire. Stefano Pierpaoli01/12/20 Nel ritratto: Mary Wollstonecraft (Londra, 27 aprile 1759 – Londra, 10

Il fomento e l’estasi

Quanto costa il tuo sì? Il tuo va bene è pronto? Ti vendo un vaccino perché sarà la nuova libertà. Ti rivelo la salvezza e il segreto della tua genialità. Gioisci fin da ora perché sto accendendo la luce della speranza e cancello la paura e le tasse. Non leggere la storia e pensa solo al Natale. Il futuro lo costruisco in dieci minuti e poi lo cambio in tre secondi con il fascino seducente di un’alchimia incantata. Mi apparterrai perché sei circondato da nemici che solo io conosco. Solo io posso sconfiggerli. Dammi il tuo sì e sarai la creatura del domani. Sarai quasi immortale. Segui l’esempio del tuo vicino e diventa meglio di lui. Sei stato perfetto fino a oggi e hai saputo affrontare tutto con responsabilità e saggezza. Ti do mille euro. Spendili bene. Spendili subito. Chiedimene altri e arriveranno presto. Protesta, scendi in piazza. Raccogli tante firme. Questa è la democrazia dei prossimi 100 anni. Calpesta il tuo avversario e, se non si arrende, uccidilo. Tra una settimana esce un bando con ricchi premi. Mandami una proposta e la metterò con le altre per la tua felicità e la fiducia in ciò che sarà. Proclama al tuo rione che mi hai incontrato e che sei stato bravo a meritare la mia risposta. Saprò ricompensarti. Ricorda che sei in piena emergenza e che ci sono cose più importanti a cui pensare. Ho detto pensare? Aspetta, adesso ti faccio pensare. Accendi la TV e troverai il tuo pensiero. Hai visto? Ora puoi riposare. Portami con te e vivrai una notte indimenticabile. Mi dirai: “che meraviglia”. Anche io lo dirò a te e saremo felici insieme. E salvi. Fumane ancora un po’ che è la migliore. Tra un po’ finirà e riavrai tutto quello che avevi prima. Hai fatto così tante cose e sei stato così bravo. Le vedo tutte, e sono mille e mille. Dammi i tuoi ricordi e li festeggeremo senza fermarci mai. Mandami il tuo curriculum. Hai foto bellissime. Splendide aspirazioni. Riflessioni profonde. Sei il migliore e sarà un’estate bellissima. Inveisci e godi del tuo impegno incessante. Sei importante per me e sto facendo grandi progetti perché tu possa arrivare sempre primo. Lo sai? Sei un grande artista e abbiamo quasi vinto. Ho bisogno di te. Ho fame di te. Non guardarti dentro. Ho tolto ogni specchio e ho allontanato i cattivi. Osservali, sono tutti lì intorno e ti cercano. Stammi accanto e scarica l’APP giusta. Troverai l’amore. Riunisciti con gli altri e ragionate insieme sul da farsi. Ragionate ballando e rilassatevi perché dentro di voi c’è una forza sconfinata. Tiratela fuori e portatela all’assessore. È una brava persona. Andavamo a scuola insieme. Se non prendi sonno, ti resterò vicino. Una frase per volta e dormirai. Domani ti regalerò una nuova incertezza. Potrai farne ciò che vuoi. Ti voglio bene. Votami Stefano Pierpaoli 30/11/20

Grand Hotel Burqa

Grand Hotel Burqa Chissà se potevamo osservare in profondità. Quasi sicuramente potevamo guardare. Almeno rispetto a quello che ci veniva messo di fronte. Forse potevamo ascoltare. Riuscivamo a sentire tutto ciò che arrivava filtrato. Parlare era più difficile. Senza un viso. Senza poter mostrare il movimento delle labbra. Esprimersi in quelle condizioni è quasi impossibile. L’espressione ha bisogno di gesti, di movenze, di rivelazioni. Senza svelamento non c’è consapevolezza e non c’è scambio né riconoscimento. Per parlare occorre riconoscersi. Così parlavamo poco e sempre di meno. Ci dicevamo poche cose. Quelle che ritenevamo essenziali. Ci facevamo bastare il minimo. Perché il minimo può diventare una buona regola. Quello che potevamo guardare però era molto attraente. Non serviva sforzo né espressione. Ce lo mettevano davanti e in quel modo ne diventavamo parte. Musiche e parole, certo, ci arrivavano filtrate ma il volume era talmente alto che ci entrava nel cervello fino a occuparlo tutto. Era bellissimo. Tutte quelle immagini, tutti quei suoni e noi immersi in atmosfere sempre nuove. Per la verità non erano proprio nuove ma erano talmente tante e così rapide che non facevamo in tempo a ricordarle. Per questo era sempre tutto diverso e avevamo la possibilità di cambiare scena perché era lei stessa che mutava di fronte ai nostri occhi. Come durante una vacanza in un albergo di lusso di un luogo incantevole. Si può non fare niente e vivere delle meraviglie in cui si è avvolti. Si sta bene anche facendo il minimo. E il minimo può essere una buona regola. Di fronte a quella ruota piena di colori e avevamo perfino la possibilità di camminare accanto all’immagine più accogliente. Che bello perdersi in quel sogno e lasciarsi trasportare lontano. Non abbiamo mai capito chi fosse il padrone di quella ruota ma sceglieva il meglio per tutti noi. Però quando qualcosa non ci andava bene potevamo anche protestare. Ah! Altro che se potevamo. Potevamo far girare la ruota più velocemente o più lentamente e potevamo gridare. Anche senza espressione si può gridare e contestare. In quei momenti, quando alzavamo i toni, ci sentivamo importanti e le nostre voci erano così numerose che al padrone della ruota arrivava un fracasso assordante. Ci univamo, eravamo pieni di passione e staccavamo le immagini dalla ruota e le facevamo girare tra noi. Eravamo un fiume in piena che travolgeva tutto. A dire il vero non proprio tutto perché il grande albergo che ci ospitava era diventato come la nostra casa. Malgrado avessimo la bocca coperta c’era comunque il modo per farci mangiare. In quelle condizioni lì è quasi un miracolo mangiare e non si può distruggere il luogo in cui ti risolvono il pranzo. Guardavamo, ascoltavamo e spesso urlavamo. Ci portavano da mangiare e guardavamo la ruota. Anche domani la racconteremo così. E dopodomani ancora. Sarà sempre al passato perché in questo hotel si vive solo del presente. Il presente che possiamo vedere era sempre nuovo e diverso e noi non volevamo pensieri. Stefano Pierpaoli 20/11/2020

Armonia e bellezza

Ho provato e riprovato. Sarà mai abbastanza? Avrò imparato? Ma poi la musica parte e sono in gioco. Anzi non è un gioco. È molto di più. Su quella superficie gelida, inospitale, dura. C’è da averne paura perché si può cadere. Sbagliare e cadere. Non devo pensarci. Saranno minuti interminabili. In quella solitudine sospesa ad aspettare che tutto sia finito. E non sarà un aspettare perché dovrò saper volare. Ora leggerezza e armonia. Fantasia ed eleganza. Lontano dai rumori del mondo. Qui non c’è spazio per squallore e volgarità. Nessuna concessione alle miserie di chi non sa vedere l’oltre, il dopo, il di più. Di chi non sa cosa sia il meglio. Su queste note struggenti sì, so volare. Ogni volta che spingo sulle ginocchia per volteggiare nell’aria mi viene da pensare che mi stacco da qualcosa che mi ha ferito e potrei non atterrare come desidero. Ho provato e riprovato. L’ho fatto amando quello che facevo. Quello che sto facendo anche in questo momento. Ricado e scivolo sul ghiaccio. So scivolare sul ghiaccio. Lo scopro ogni volta ed è sempre la prima volta. Finirà questo momento che è difficile ma è anche una sfida che doveva essere vissuta. Armonia e purezza. Sì, è così che si vince. Che si arriva alla fine e ci si arriva nel modo in cui si desidera. Lontano da tutti i demoni che sono venuti spesso a invadermi l’anima mentre mi preparavo a questo momento. Tutte quelle ore ad allenarmi. A volte davanti a occhi che non capivano, che non credevano, che non sapevano. Non bisogna morire in quegli sguardi ma cercare solo occhi che portano lontano. Nei luoghi più veri e più puliti. Fino a qui. Fino a questo momento. Per essere se stessi fino in fondo e amare questo scorrere fluido che sa riempire il cuore di sogni nuovi. Di sogni luminosi. Nessuna paura e più nessun nemico. Tutto quel freddo sotto di me e intorno a me, che era una minaccia, è diventato quasi un alleato e mi ha insegnato che bisogna crederci fino in fondo. Perché alla fine c’era tanta gente intorno e la solitudine era finita. Ed eravamo felici. Perché la vita vissuta, porta altra vita. E l’armonia è bellezza. Chissà se questi sono stati i pensieri di Kim Yuna in quei momenti. Forse no e tutte queste parole, tutte queste immagini sono solo il frutto di un viaggio fatto con la fantasia. Ma i passaggi complessi, rischiosi, carichi di incertezza vanno superati così. Sapendo quello che fai. Credendoci fino alla fine. Con coraggio. Con amore. E poi, quando tutto è finito, trovarsi insieme, davanti agli occhi giusti. Dopo la vita vissuta davvero. Pronti ad altra vita. In un mondo più bello. Stefano Pierpaoli 07/11/2020   Kim Yuna (generalmente indicata in Occidente come Yuna Kim; Gyeonggi, 5 settembre 1990) è un’ex pattinatrice artistica su ghiaccio sudcoreana. Vincitrice della medaglia d’oro ai Giochi olimpici invernali di Vancouver 2010 e della medaglia d’argento ai Giochi olimpici invernali di Soči 2014, campionessa mondiale nel 2009 e nel 2013, vincitrice del Quattro continenti nel 2009, tre volte prima classificata nella finale del Grand Prix ISU (2006–2007, 2007–2008, 2009–2010), campionessa mondiale juniores nel 2006, vincitrice dell’edizione 2005-2006 della finale dello Junior Grand Prix ISU, è stata anche per nove volte campionessa nazionale della Corea del Sud.

Il diverso, all’improvviso

Le buone pratiche sono la sostanza indispensabile per la disciplina del vivere sano. Mascherina, distanziamento e monitoraggio sanitario fanno parte di una condotta che dovrà entrare nei nostri stili di vita. Sono strumenti essenziali che dovremo rispettare, per chissà quanto tempo, per la salvaguardia della nostra salute. Per proteggere la nostra vita e quella degli altri. Il solo dover sistemare gli elastici intorno alle orecchie, ogni volta che dobbiamo uscire di casa, ci invia però un messaggio non sempre facile da interpretare. Regole e direttive che giungono dall’alto possono certo imporre atteggiamenti ma di certo non intervengono nella nostra capacità di affrontare la paura, l’insicurezza, l’angoscia e l’infelicità. Nemmeno riusciranno a risolvere i tormenti che ci assalgono quando pensiamo al nemico immenso e invisibile che ci sta assalendo. Dopo tanta retorica sulla diversità è arrivato il momento di confrontarci davvero con il diverso. Siamo costretti nostro malgrado ad affrontare un ignoto che ci costringe a conoscere e a interpretare. Che ci chiede di cambiare. Che ci induce a reinventare le nostre abitudini. Che, privo di indulgenza, ci obbliga a guardarci dentro. Tanto tempo nel quale, di fronte ai drammi e ai disagi, abbiamo avuto sempre la possibilità di voltarci dall’altra parte perché in fondo non ci riguardava, e ora siamo in un cul de sac da cui non possiamo fuggire. È arrivato l’invasore, il forestiero sgradito, il ladro di benessere. Non stava allo stadio nella curva opposta. Non ha usato barchini per arrivare nelle nostre coste. Non siede sugli scranni contrari. Il tentativo di nasconderci o fuggire, di negare un’evidenza spaventosa e pensare che sarebbe finito tutto in un attimo c’è stato. Sono lecite strategie di protezione. Del resto viviamo nella società dello spettacolo e ci siamo distratti correndo dietro ai mille show sulla pandemia. Ma quel nemico lì non lascia spazio al chiacchiericcio ed è un diverso sprezzante, che non porta nemmeno consenso. Quando sente politici che litigano, categorie che protestano, disgraziati che manifestano, lui sorride perché grazie a loro sta prendendo forza. La disperazione dell’altro è il suo cibo preferito. Ci osserva mentre ci nascondiamo dalle responsabilità, mentre fuggiamo dalla realtà e gode ogni volta che andiamo a cercare un nemico che non sia lui. E in quel momento prende più potere. Più restiamo divisi e soli, più grande sarà la sua forza. A tratti sembra un leader postmoderno che guida un partito populista. Questo qui è proprio un diverso pericoloso e si direbbe che non scenderà a patti. Teme solo una cosa: che l’uomo riconosca l’uomo. E se questo succede, l’uomo si unisce all’altro e con l’altro si allea. Da quel momento in poi lo stare accanto e insieme su quel confine che si chiama paura potrebbe non essere più un pericolo che tutti cercano di evitare. L’infelicità e l’angoscia potrebbero diminuire. La realtà diventerebbe una dimensione accolta e affrontata senza drogarsi di inutili artifici. Si fermerebbe la ricerca spasmodica di un nemico. Di quel nemico che è in noi e che proiettiamo nell’altro. È una sfida che deve essere raccolta e affrontata. È una sfida che comincia nella nostra anima e ci rende più forti perché ci svela l’importanza dell’altro e il valore dello stare accanto. Dobbiamo affrontare un diverso che può farci morire e non è facile da accettare e perfino ammetterlo può terrorizzarci. Ma “aver paura di morire non aiuta a non morire” (cit.) e quella sfida lì ci sta offrendo un’occasione fantastica. Quella di ricominciare a vivere seguendo il ritmo del cuore. Stefano Pierpaoli 27 ottobre 2020