La notizia della sua scomparsa è sconvolgente ma non produrrà nessun effetto.
La morte di Dio, più di un secolo fa, fece molto più clamore. Si trattava in effetti di un passaggio cruciale. Era la fine di un principio ordinatore che, per secoli, aveva fornito agli uomini un senso ultimo dell’esistenza, una struttura valoriale condivisa, una base metafisica per la conoscenza.
Per colpa di quei fastidiosi illuministi, si era andata gradualmente secolarizzando l’entità divina che aveva fino ad allora garantito un ordine del mondo. Era così avvenuto che l’uomo emancipato scoprisse un ruolo della Ragione che lo avrebbe posto al centro di un qualcosa ancora da scoprire. La Conoscenza, fine ultimo della filosofia classica, era ancora nel nostro destino e tornava tuonante sulle pagine della Storia.
Fu una vicenda colossale e tutta europea.
Il secolo breve ha poi frantumato il tempo e quella centralità propulsiva del soggetto razionale, autonomo e capace di autodeterminarsi, si è andata dissolvendo.
Entrammo in un labirinto in cui il nostro IO agonizzante sembrava ingigantirsi fino a renderci invincibili. La prova che ci facevamo bastare erano i balli sulle note caraibiche, facendo trenini per serate luccicanti.
Potevamo, per sempre sorridenti, scegliere sempre il peggio per noi e per i nostri figli. Era bello cedere agli impulsi e lasciarsi guidare verso il mondo perfetto.
Si stava smembrando una realtà ingombrante che poteva ancora imporci di essere persone mentre, alla fine, desideravamo solo essere spettatori del mondo e di noi stessi. Gratificati dalla finzione di un’eterna allegria sintetica, saremmo giunti, di lì a breve, alla creazione di noi stessi, talmente immaginaria da essere meravigliosamente inutile.
L’IO cercato per secoli, glorificato dalla centralità della Ragione, reso infinito dalla scoperta dell’Inconscio e spinto negli oltre dalla potenza dell’Arte, giaceva ormai rattrappito in una cella di autorappresentazione che lo avrebbe reso moribondo fino ad annientarlo.
Se Nietzsche denunciava la morte di Dio come sintesi di un processo decostruttivo, oggi la morte dell’IO è la manifestazione di una soggettività vaporizzata e passiva. Un’inessenza che coinvolge perfino i potenti della terra.
Assistiamo a episodi talmente sconcertanti da apparire irreali. Dichiarazioni sconnesse pronunciate in una continua recita estranea alla storia e al suo corso.
Potremmo dire, rischiando un pericoloso paradosso, che se Trump esistesse davvero, non sarebbe mai stato eletto. È proprio la sua natura di assurdo portata all’eccesso a investirlo del ruolo che ricopre: un controsenso necessario per alimentare la finzione e lo show. Non è un uomo di potere, ma ne è l’utile riproduzione che si esibisce mentre il disastro si compie. Trump e Musk non sono incidenti di percorso, ma ingranaggi essenziali della catastrofe. Non è importante stabilire se si sono costruiti da soli o siano stati creati da altri. Ciò che conta è che vengano seguiti, perché solo attraverso fasulli simulacri, la sciagura che fa mercato può diventare ineluttabile.
Lo stesso potremmo dire delle urla sguaiate di Giorgia Meloni e della motosega di Milei, così come dell’eloquio disorganico della Schlein o della protervia suicida di Zelensky. Fatti non concepibili che trovano anch’essi la loro spiegazione nell’esigenza di mantenere in vita un carrozzone variopinto di frustate sociali.
La distanza tra queste dinamiche e i popoli della terra è al momento incolmabile. La dimostrazione arriva dalle nostre piazze che, seppure gremite, rispondono ad appelli televisivi che hanno la consistenza e la durata delle nuvole. Alla legittima ricerca di autodefinizione, migliaia di esseri umani vagano come spettri per rivendicare la loro esistenza e una qualche autenticità. Un gesto disperato che ci restituisce l’affresco che raffigura masse disorientate. Il messaggio che dovrebbe arrivarci (e al quale abbiamo il dovere di ribellarci) è che siamo un aggregato di risposte a stimoli mediatici e meta-sociali.
Non c’è Ragione né ricerca di Conoscenza in quello che seguiamo come automi impazziti. Stiamo parlando di un nulla che riproduce un qualcosa indefinito, privo di radici e senza nessuna meta da raggiungere se non quella di rappresentare una realtà che rappresenterà a sua volta se stessa. E sarà un gioco senza epilogo sempre schiacciato unicamente sul presente. Un eterno presente di disperata incertezza.
Se da una parte ci appare impossibile evadere da questo flusso di continui impulsi, proprio la morte dell’Io ci offre una via d’uscita.
Sembrerebbe un controsenso, ma quel soggetto ormai malato, svuotato di senso e di funzione, ci libera con il suo trapasso da un’agonia gonfia di alterazioni pericolose. Tenerlo in un limbo di esistenza fittizia ci costringeva a ruotare come fantasmi nel girone infernale delle rappresentazioni. È così che siamo giunti a un bivio che non possiamo più ignorare.
Da questo pur molesto crocevia si intravede finalmente la possibilità di creare alternative. Ciò che ora si manifesta come il trionfo degli algoritmi e delle artificiali influenze è in realtà il prologo a un’implosione che può aprire nuovi spazi di consapevolezza individuale.
Fino a oggi, le forze che hanno condizionato l’individuo – dai sistemi ideologici alle dinamiche di potere, fino alle moderne rappresentazioni mediatiche – hanno sempre avuto un bersaglio preciso: un Io da plasmare, da sedurre o da annientare. Ma se quell’Io è morto, se non esiste più un centro stabile su cui esercitare pressione, allora il condizionamento stesso perde il suo punto d’appoggio.
Un potere ha bisogno di qualcosa da governare, un’illusione ha bisogno di qualcuno che ci creda. Ma se l’individuo smette di riconoscersi nei ruoli precostituiti che gli vengono imposti, se rifiuta di identificarsi con l’ombra di un Io ormai svuotato, ecco che il meccanismo si inceppa. L’assenza di un bersaglio trasforma il vuoto in un terreno fertile per la libertà: ciò che sembrava una condanna – la dissoluzione dell’identità – può diventare la premessa per una rinascita.
Non più soggetti rigidi, vincolati a categorie imposte, ma esseri umani in grado di abitare questa assenza senza timore, di ricostruire un’autonomia non fondata su dogmi o rappresentazioni, ma su una consapevolezza dinamica e concreta, in continua ridefinizione. Se l’Io è morto, allora siamo finalmente liberi di essere qualcos’altro. O forse, di essere davvero.
Stefano Pierpaoli
23 marzo 2025