In principio fu una nave olandese, carica di milioni, a raggiungere la capitale per acquisire gli anfiteatri del cinema romano.
Questo approdo inatteso squarciò il lungo silenzio di un mondo assopito e distratto.
L’effetto fu immediato: con un grido lanciato da alcuni armatori, si diffuse nell’aria una nuova occasione. Il vascello giunto dalla terra dei tulipani aveva sollevato un’onda promettente. In breve, il flusso generato da quello scafo possente si trasformò in marea. Mille voci si levarono in nome del sovranismo cinematografico, pronte a difendere il patrio suolo dalle aggressioni del cinico mercato.
Dal fondo si sprigionò un’energia nobile e primordiale. Limpide scie di amorevole impegno emersero dagli abissi dei mari produttivi, creativi, perfino calcistici.
Il Dulcis in Fondo divenne in un batter d’occhio l’oggetto di una spasmodica bramosia.
Si tratta di una coincidenza del tutto casuale. Come si fa a immaginare un disegno speculativo dietro la magnanima mobilitazione per i cinema romani? Sarebbe un’operazione dietrologica azzardata e machiavellica.
Ragionare invece sul grande affare immobiliare che queste operazioni garantiscono è tutt’altro che fantasioso. È ormai assodato che tutto ciò che assume una grande rilevanza mediatica è guidato da interessi con l’urgenza di spingere l’opinione pubblica in una direzione precostituita. Non esiste alternativa a questo. Almeno non nei mondi che usiamo frequentare.
Roma è ancora la “Capitale corrotta di una nazione infetta”, come titolò l’Espresso nel 1955. È il territorio preferito dai palazzinari senza scrupoli e dagli intrallazzatori dei bandi. Governata da una classe dirigente mediocre, è stata da tempo abbandonata al degrado, e gli oltre 100 cinema chiusi sono solo un esempio dei tanti disastri amministrativi che la soffocano da almeno 30 anni.
L’uso della retorica culturale per accompagnare imprese fondate su medie e grandi opere non sarebbe sorprendente. Né illegittimo. Del resto, la frase più in voga da queste parti è: “…se non fai così, come fai a fa’ le cose?”.
Ma le “cose” andrebbero definite. Tutti sappiamo (spero) che dietro il termine “riqualificazione” si cela, in questo caso, il progetto di destinare quegli spazi a usi commerciali. Nulla di nuovo. È già successo al Curzon Soho a Londra, così come nel circuito dei Landmark Theatres negli Stati Uniti e in molte altre città nel mondo.
Roma, però, è un caso a parte. Non solo per le sue criticità, ma perché è una città in vendita, preda di appetiti opachi.
Come scrive la Procura della Repubblica:
“L’essenza del sistema romano è un sistema amalgamatosi nel tempo tra gli interessi delle associazioni di tipo mafioso che si muovono nell’area metropolitana capitolina. Roma, anche storicamente, rappresenta il punto di contatto tra imprenditori, politica e mafie.”
Lanciarsi in una proposta astratta e retorica, senza una visione chiara, espone la città a ulteriori vulnerabilità e non garantisce alcuna soluzione reale.
Qual è l’idea? Qual è la proposta? Qual è la prospettiva tangibile?
Questo dovrebbe essere il punto centrale del dibattito, libero dai soliti, squallidi vincoli delle relazioni private e degli accordi di palazzo.
Se oggi, improvvisamente, c’è tutta questa “sensibilità” su temi ignorati per decenni, è evidente che nuovi fondi sono in arrivo e che forze già presenti nelle istituzioni stanno premendo per inserirsi nella partita. E va bene così.
Ma se è ormai chiaro che le voci non allineate sono considerate un pericolo da assessori e amministratori – e pertanto condannate all’oblio – è bene che chi ha accesso alle segrete stanze del potere si doti di qualcosa di reale. Qualcosa di concreto da presentare, guarda caso, anche ai cittadini romani e ai tanti giovani che stanno subendo la deriva degenerativa di questa città.
Sottrarsi alla voracità dei predatori finanziari è pressoché impossibile. Ma almeno si potrebbe tentare di ottenere un qualche vantaggio in termini di rinnovamento urbano.
Sarebbe bello, però, che chi oggi si presta a questa iniziativa mediatica ricordasse che si sta parlando anche di memoria storica e culturale.
Un minimo di spessore intellettuale e visione del futuro sarebbe quantomeno richiesto.

Il danno a questa città è stato prodotto anni fa e si è aggravato per colpa di una politica miope e disonesta.
Se esiste un modo per evitare che questo danno si trasformi in una voragine, allora sfruttiamolo nell’interesse generale.
Raccogliamo le forze buone. In fondo, ce ne sono ancora…
Stefano Pierpaoli
24 febbraio 2025