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La ribellione apocalittica
ANSA 28/01/25 – “Oggi dovrebbero scattare le lancette dell’orologio dell’Apocalisse, che dal 1947 segna la distanza minima da una catastrofe globale: l’orologio, che viene aggiornato ogni anno dal Bulletin of Atomic Scientists, l’organizzazione dei fisici atomici fondata nel 1945 da Albert Einstein, è rimasto fermo a 90 secondi alla mezzanotte dal 2023, quando è avvenuto l’ultimo spostamento in avanti, mentre le scorso anno si è deciso di confermare la stessa ‘ora’”.
La percezione dell’apocalisse, in quanto epilogo finale, innesca meccanismi che spazzano via paradigmi e convenzioni. Di fronte alla catastrofe, i sentimenti e le emozioni vengono spinti lontano dalle regole civili e le traiettorie di questa evasione prendono direzioni eterogenee.
Manca poco allo scoccare di quella mezzanotte.
Per alcuni rappresenta il momento giusto per manifestare finalmente un’identità soffocata, un’inedita prospettiva, un desiderio inespresso. È il dono paradossale che consente loro il riscatto sognato da chissà quanto.
Per altri, questa “ORA X” è l’impulso che scatena l’ultima fuga. Un atto che è nient’altro se non l’evasione finale giunta dopo mille altri diversivi, funzionali a simulare identità inesistenti, prospettive sempre istantanee e un desiderio che era soltanto primordiale appetito.
I primi si troveranno sul terreno adatto per lanciarsi verso la ribellione tanto attesa.
A differenza dei perpetui fuggiaschi, per i quali non cambierà nulla. Con lo smartphone in mano, aspetteranno di fotografare il bagliore della grande deflagrazione e lo accompagneranno con il loro “Huuuuu” o con un applauso, convinti che la vita è una giostra infinita.
Il disastro imminente scandisce tuttavia un crollo che va oltre gli istinti dei rivoluzionari frustrati o dei festaioli a oltranza.
I vincoli sociali collassano e con essi si spezza ogni garanzia di diritto.
L’ondeggiare delle moltitudini impazzite schiaccia le leggi umane e in ogni individuo si spegne anche l’ultimo barlume di costruzione etica.
L’incombente cataclisma instaura la dittatura del più potente che assume le sembianze dell’ultimo baluardo. Nel finimondo, la stanza dei bottoni è l’ultimo luogo salvifico al quale il popolo possa affidarsi. Tutto il resto è periferia che diventa abbandono e cede alla violenza.
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Il fascino dell’apocalisse
La fine del mondo incanta il filosofo, che vi scorge il ritorno a una realtà che lascia spazio al pensiero.
Andrej Tarkovskij affermava che l’Apocalisse è la più elevata espressione che la poesia stessa possa raggiungere. In effetti c’è in essa un fascino avvolgente che deriva forse dalla sacralità imposta proprio dall’epilogo spaventoso e dalla sua ineluttabilità.
Questo incontro tra l’immanente e il trascendente che cancella gli orizzonti, restituisce in fondo il senso del concreto e della verità. Ha il potere di ristabilire la misura del tempo nell’attimo stesso in cui la fine si fonde con l’eternità e ci riconduce alla vita.
La catastrofe può atterrire ma è una paura che, nel riconoscimento della sua autenticità priva di mediazioni, ci offre un cammino verso la libertà.
Il rumore della fine del mondo è il sibilo delle nostre angosce. Fluttuiamo tra le ipocondrie diffuse dai giornali e l’incessante ricerca di nuove distrazioni. Ci regaliamo al sovrano impazzito per evitare di chiedere a noi stessi di decidere sul nostro futuro.
Dove non vige più un patto sociale fondato sull’interesse comune non può verificarsi nessuna apocalisse. Non c’è più niente da distruggere in un labirinto di solitudini. Non esiste più nulla. Il disastro è già avvenuto e anche se ne eludiamo le atmosfere non possiamo evitarne gli effetti.
Riconoscere il punto di svolta è però una straordinaria possibilità per andare a riprendersi la vita. Non c’è gioia più intensa del non dover più fuggire e del non nascondersi. E in quel momento, nel ritorno al respiro, comprendiamo che stiamo ristabilendo un ordine necessario.
È una luminosa ribellione ed è un obbligo di responsabilità verso le generazioni future.
Stefano Pierpaoli
28 gennaio 2025