Essere problema o soluzione
Il tracollo greco, così come quelli che si stanno per verificare, sono dovuti alla cattiva gestione economica e finanziaria da parte degli esecutivi nazionali. Nulla da eccepire in merito a questa valutazione.
Esiste tuttavia un ampio alveo in cui responsabilità e consapevolezza riguardano direttamente i cittadini, elettori o consumatori, che possono intervenire sulle scelte delle dirigenze grazie a forme di democrazia diretta o indiretta.
Le reazioni rabbiose sono giustificate in quanto esprimono la frustrazione e lo sdegno delle masse, ma arrivano dopo anni, per non dire decenni, di lamenti e di contestazioni manifestate a singhiozzo o scambiati nei bar. Questo modello è esattamente quello adottato anche qui in Italia. Da 20 anni ci siamo (dovremmo essere) accorti che politica e burocrazia utilizzano il potere per sottrarre risorse economiche alla collettività e trattenerle a favore del partito (fino a tangentopoli) o, come avviene negli ultimi anni, a proprio vantaggio per l’acquisto di case, barche e per l’organizzazione di allegri festini danzanti.
Ci verrebbe da pensare che esiste una diffusa coscienza del malaffare che attanaglia l’Italia e che crea povertà per la maggioranza della popolazione, frena lo sviluppo economico e mina profondamente lo stato sociale generando disagio ed esclusione.
Gli esclusi, un abbondante 80% degli Italiani, scelgono tuttavia la loro stessa esclusione. Si paralizzano sul lamento, talvolta sulla recriminazione, ma preferiscono sottostare al sempre più rapido smottamento delle sicurezze sociali. Accettano di fatto una condizione di inferiorità e di masochismo e si lasciano travolgere dagli eventi, adottano modelli esistenziali ispirati alla sopravvivenza e alla furbizia spicciola e qualche volta si radunano nelle piazze tenendosi ben protetti nell’ombra del palco, del vessillo o del comunicatore (politico, sindacale o comico) che li esonera dall’impegno e dalla responsabilità
Questa drammatica forma di autodeterminazione verso la catastrofe è testimoniata soprattutto nei settori che più di altri avrebbero il dovere di fare argine e fermare la degenerazione in atto. Un intero ambiente artistico è immerso nella sola difesa di fortificazioni erette intorno alla singola attività, senza accorgersi che aldilà delle barricate c’è ormai un territorio desertificato e che il potere al quale si è riferito per chiedere assistenza o protezione, si è ormai dissolto e sta facendo le valigie per salvarsi dal crollo.
Migliaia di operatori e artisti si intrecciano nel nulla senza rendersi conto che non è più tempo di rappresentare il nulla: siamo soluzione oppure siamo problema. Non esiste l’interstizio del disimpegno se non nei corridoi angusti dell’isolamento che tanto ricordano la segregazione nei manicomi o quella più attuale dei social network.
Siamo soluzione oppure siamo il problema e finchè non saremo in grado di tracciare percorsi nuovi e determinare condizioni di sviluppo all’interno delle nostre comunità, finchè ci limiteremo a delegare e a tirarci indietro, si continuerà solo ad alimentare il problema e ad essere parte integrante e organica della dissoluzione che ci sta ingoiando.
Essere “contro” ed essere nulla è più che mai fuori moda. Occupare, puntare i piedi e inveire è anacronistico e profondamente ipocrita. Sono pratiche che fanno parte della crisi di civiltà e che portano con sé una penosa assenza di civiltà che conduce, com’è chiaro, al tribalismo e alla superstizione. Totem e tatuaggi dilagano mentre il padrone ingrassa fino ad esplodere.
Se anche siamo esclusi dalle scelte, non siamo esclusi dall’imbroglio e dal danno, ma le meravigliose energie e gli spazi smisurati che non sappiamo sfruttare e valorizzare sono il marchio della sconfitta più dolorosa e più infame, perché è quella che ci saremo procurati da soli.