L’UOMO E L’ARTISTA
Ha raccontato la sua voglia di vivere
Di Fabio Ferzetti

ROMA – Trent’anni fa Wenders decise di filmare gli ultimi mesi vita di Nick Ray come estremo atto d’amore. Ma era il maestro a morire, non il suo allievo, Molti anni dopo Nanni Moretti inserì in Caro diario pagine della sua malattia. Ma nel frattempo era guarito, la vita e il cinema andavano avanti. Gil Rossellini non ha avuto questa fortuna, e oggi piangiamo un esempio di coraggio e di coerenza nato dal confronto con il dolore più estremo. Altro che trucchi, invenzioni e prodezze recitative come quelle con cui il cinema-cinema ha costruito il fiorente filone dell’handicap.

Gil aveva lo spaventoso “privilegio” di essere il primo ad avventurarsi su quel terreno e lo ha usato fino all’ultimo, con uno stoicismo che lascia ammirati e sgomenti. La malattia voleva annientarlo? Lui la trasformava in qualcos’altro. Testimonianza, racconto, cinema. Per sé stesso, certo, ma anche (soprattutto) per noi. Non erano ammesse mezze misure. Occorreva vedere, sapere, raccontare tutto, Ci volevano dosi massicce di humour e di fantasia. Cosi ha strappato alla morte non uno ma addirittura tre film, senza cedere un secondo al ricatto del dolore per trasmetterci la gloria del combattimento. Un samurai in sedia a rotelle. Un modo per fare dono di sé. Se non è coraggio questo…

Lascia un commento