Vita di una brigatista, un libro su Mara Nanni
La Nuova
Presentata in città la storia di una “dissociata”
Vita di una brigatista, un libro su Mara Nanni
OLBIA. Mara Nanni è una donna minuta, magra, con i capelli neri a caschetto. È madre di due figli, campa facendo le pulizie e la baby sitter. Era venticinque anni fa una delle figure più celebri del terrorismo italiano. Militante di base delle Brigate Rosse nella capitale, venne arrestata nel 1974 e condannata all’ergastolo. Trattata come una irriducibile, veniva chiamata «la Viet» per il suo carattere, la condotta in cella, nei processi. Non aveva mai sparato un colpo di arma da fuoco, mai ucciso o ferito.
L’ex brigatista era a Olbia martedì sera nella piazzetta Santa Croce, a presentare un libro («…E allora», edizioni Interculturali, Euro 11) scritto con Stefano Pierpaoli, romano come lei, aspirante scrittore di 38 anni incontrato sulle rive di un lago. Lei era appena uscita dal carcere, dopo che in appello la pena era stata ridotta a 15 anni: con un figlio a carico, interdetta dagli uffici pubblici, nell’impossibilità persino di ereditare la licenza di un negozio del padre nel frattempo morto.
«…E allora» racconta sotto forma di romanzo la vicenda della brigatista, con qualche sovrapposizione retorica che sembra del coautore più che della protagonista. Mara Nanni esprime invece nelle poche pagine del libro, scritte in corsivo, nelle quali parla in prima persona, la stessa efficacia del discorso, nettezza antiretorica, la stessa asciuttezza del suo fisico.
Presentata da una giornalista del «Messaggero», l’ex brigatista ha detto del libro e della sua esperienza che ha deciso di far conoscere: «Molti mi avevano chiesto di raccontare la mia storia. L’ho affidata a Stefano Pierpaoli perchè mi sembrava che potesse raccontarla con la semplicità della quale avevo bisogno». La brigatista era finita una prima volta in carcere per avere partecipato a una manifestazione, era stata pestata, torturata, chiusa in isolamento perché creduta un’altra. Aveva scelto la clandestinità perché segnata da questa esperienza, dall’odio della vittima contro i carnefici: trascorre molti anni della sua detenzione dopo il secondo arresto e la condanna che sembrava definitiva («Fine pena: Mai», era scritto nel suo certificato), prima di maturare una scelta personale di dissociazione, di ricerca di un via pro- pria al godimento di spazi di libertà, di affetti, una propria difficile sessualità. La detenzione alla quale è sottoposta è durissima per molto tempo, disumana, lei reagisce alle violenze dei secondini e le alimenta («il carcere è un luogo dove le mediazioni non sono possibili», dice). Cerca rapporti con i detenuti comuni, comincia a trovare insopportabile la consegna delle Br a fare vita organizzata anche nelle condizioni di cattività alla quale sempre più numerosi ex militanti sono costretti dalla fine degli anni settanta.
Nessun pentimento, riconoscimento degli errori, semmai: quello fondamentale di non avere ripudiato la violenza, la morte di decine di persone come mezzo per il raggiungimento di un’utopia rivelatasi impossibile, costretta a ripiegare anche nelle sue forme pacifiche per i danni della lotta armata.
Questa ricerca, l’emancipazione dall’ideologia, dall’appartenenza, dalla logica del gruppo, Mara Nanni scopre che la stanno facendo anche altri ex Br, che alla fine è la scelta di quasi tutti.
U.C.