La pietra mancante

Dopo tanti anni di pro e contro Berlusconi, il solo dibattito politico che di fatto sia avvenuto, eravamo ancora fermi sulla guerra di posizione in attesa che il cavaliere scomparisse.
I più ingenui speravano avvenisse per una sonora débâcle elettorale erano. I più disillusi e al tempo stesso ostinati contavano sull’arrivo di qualche condanna definitiva. I meno realisti, perfino nel suo stesso partito, si auguravano che fosse egli stesso a farsi da parte.
Anche la sinistra è corsa dietro al Caligola di Arcore sia sul piano dell’emulazione che su quello della ricerca del compromesso, almeno fino alle ultime elezioni. Questo gioco sarebbe continuato se alle primarie avesse vinto Renzi ma sta di fatto che questa rincorsa ha prodotto la progressiva perdita di identità di un partito smarrito dai tempi della Bolognina.
Il conflitto permanente tra le due forze politiche principali ha spinto nel baratro ogni ragionamento politico, ogni assetto istituzionale e molti riferimenti democratici, non ultimo quel dettaglio della sovranità popolare. Il dibattito è diventato gazzarra in un bar dello sport e mentre il Paese si avviava verso la catastrofe, i leader e i maggiordomi delle coalizioni giocavano al loro personalissimo Risiko.
Tutta questa storia la conosciamo abbastanza bene e alcuni, liberandosi di ottimismi e di semplificazioni, avevano saputo prevedere il disastro alla fine di quel tunnel e non la troppo spesso evocata luce.

In sintesi gli ingredienti della nostra rovina politica potevano essere dosati in parti uguali tra il partito populista degli arroganti, degli illegalisti e dei cialtroni e l’altro partito, quello senza più identità, privo di radici e in continuo camuffamento per proteggere i suoi apparati sempre più lontani dai cittadini.

Mancava tuttavia un elemento decisivo per poter comprendere fino in fondo i motivi che hanno portato i politici a diventare un’orda famelica e priva di controllo, riuscendo tuttavia a mantenere consenso e a garantirsi continuità. Mancava una piazza da riempire di persone inneggianti, non diverse da quelle che erano state sotto ai palchi dei vecchi capi di partito. Mancava la caratterizzazione più autentica e popolare del consenso o del dissenso che sul confine chiamato disperazione diventano la stessa cosa.
Avevamo bisogno della spinta finale che ci portasse al collasso e al disordine e quella maggioranza di varia umanità che si era limitata a mettere una croce alle tornate elettorali ha preteso di prendere parte alla mattanza finale con la scelta più coerente: quella della parodia della democrazia.
Tra il partito dell’illegalità e quello dell’apparato (sia perdonata la sintesi) serviva una terza parte attiva per sbranare gli ultimi brandelli restanti dell’equilibrio democratico e puntualmente si è manifestata.
Sembravamo arrivati al punto cruciale che apriva le porte al cambiamento non più rimandabile e addirittura si poteva pensare che l’intervento irriverente e violento “che arrivava dal basso” avrebbe fornito l’energia giusta e agevolato il salto verso il nuovo.
Poi abbiamo visto le facce dei capigruppo, abbiamo provato ad ascoltare quello che dicevano. Abbiamo perfino tentato di comprendere una qualche strategia seppur ordinata da altri e ci siamo sforzati di decriptare i confusi concetti che uscivano dalle loro menti sorvegliate.
Alla fine ci siamo accorti che nel giro di qualche ora, la stessa arroganza e la stessa superbia di altri si era impadronita anche dei due sedicenti rappresentanti del basso. Che la perversione dell’apparato si stava rivelando con modalità ancora più feroci e totalitarie nel contesto di un partito-setta in cui ognuno controlla l’altro. Con un atto di teppismo politico hanno tirato pietre contro il Presidente della Repubblica e con la faccia indolente da bambini viziati hanno citato Ballarò durante un incontro istituzionale da cui poteva nascere un governo importante per il Paese.
Si sono permessi di dire che sono loro le parti sociali ed è stato questo il gesto che ha svelato a tutti che la parte mancante della spinta verso il baratro era arrivata.
Prima potevamo dire che “è tutta colpa dei politici” ed era un discorso che non ci portava a niente.
Ora possiamo finalmente cominciare a fare un ragionamento su noi Italiani e senza dubbio, sarà un’autocritica che ci porterà bene e ci aiuterà a crescere.

Stefano Pierpaoli
30 marzo 2013