Stamattina ero sul balcone. Non mi ero coperto bene e la temperatura rigida si faceva sentire. Sono rimasto lo stesso perché ho sentito il bisogno di ascoltare il freddo che avvertivo.
Apparentemente c’era una spiegazione semplice. È inverno, erano le 7,00 e c’è aria da nord. Tutto così scontato che ragionarci sopra poteva far parte delle mie solite follie.

Il freddo che mi avvolgeva si stava facendo strada come una nave rompighiaccio. Il rimbombo delle lastre che si spaccavano sotto la prua dei miei pensieri, aveva cancellato i rumori di una grande città mentre vive il momento in cui si mette in moto.
Ripetevo a me stesso: “Spiegami il freddo!”, e per farlo ho usato il suo contrario. Ho immaginato di percepire improvvisamente un’afa, un inatteso caldo estivo. Un evento assurdo che invade e che non c’entra niente. Inconcepibile e anche bugiardo.
Ho pensato che sarebbe stato veramente un brutto scherzo della natura. Un imprevisto che avrebbe generato ansie e paure. Ho provato a proiettarmi in quella situazione fino ad arrivare a quell’angoscia. Mi sono sentito fuori dal mondo.
Poi ho messo ordine nei miei pensieri. Ho ragionato sulle stagioni e sul fatto che bene o male non possono esserci grandi sconvolgimenti. È dicembre e fa freddo, com’è normale che sia.

L’ecosistema è una gran bella garanzia. Chiarisce, risolve e rassicura.
L’angoscia si è allontanata e hanno ripreso quota i brusii dei passanti e i rumori delle macchine. L’immenso organismo vivente che chiamiamo società si era ripreso la scena e io ero tornato nel mondo. Ero di nuovo in una qualche impercettibile porzione dell’universo e potevo osservarla e ascoltarla.
Tutto sembrava regolato da quello stesso ecosistema che poco prima avevo cercato di mettere in dubbio con i miei ragionamenti strampalati.
Guardando le persone che camminavano lungo i marciapiedi ho cercato di percepire l’ecosistema che governa l’umanità. L’architettura di un immenso DNA che regola e tiene in vita le nostre stagioni emotive e sentimentali. Non può trattarsi di altro, se non di un equilibrio sociale e culturale.

In quello stesso istante mi sono perso. Perché quel biosistema, fatto di punti fermi, è diventato così confuso e sregolato che evapora nell’attimo stesso in cui cerchiamo di scoprirlo.
Nelle nostre anime di sicuro esiste ancora ma ce ne accorgiamo appena. Tra noi ci scambiamo il minimo indispensabile. Ci troviamo con un messaggio e ci perdiamo con cinque righe di email.

Ho provato a darmi qualche risposta e nello stesso tempo sentivo crescere un’inquietudine pura. Limpida come lo sguardo di un bambino. Perché un bambino ben saprebbe spiegare cos’è l’equilibrio che stavo desiderando di incontrare. Gli basterebbe alzare gli occhi e osservare le nuvole con meraviglia e curiosità. E anche quell’inquietudine, a modo suo, era una reazione bambina. Del bambino che chiedeva di essere abbracciato e accudito.
Però il dolore, che non sono riuscito a evitare, non era puro e nemmeno bambino. Era una sofferenza adulta che sotto al balcone non vedeva nient’altro che un sistema. Nessun “eco” (οἶκος= casa, abitazione) in cui riparare. Avevo di fronte un sistema e basta. Solo un sistema che cerca di annientare il nostro sentire originario e tutto ciò che ci prende per mano e ci accompagna. Che ci fa vivere fino in fondo lo scorrere del tempo e ci abbraccia nello svolgersi delle diverse stagioni della nostra vita.

Il freddo che avevo provato a esplorare e che fino a poco prima mi avvolgeva, ora mi stava anche dentro.
Perché il sistema che avevo appena visto tutto intorno è capace di inventare l’estate e l’afa anche quando non dovrebbero esistere. Nella stagione sbagliata. Nel tempo che non c’è.

Ho stretto gli occhi e ho scacciato la macchina infernale che decide il nostro tempo. Ho pensato al bene, all’amore e al bello che deve arrivare. Ho respirato più forte per prendere gli odori migliori, quelli che escono dagli ideali più limpidi e coraggiosi.
Ho trovato l’inverno. Ed era quello vero.
Domani tornerò fuori a cercare quel freddo, mi coprirò meglio e penserò a come volare oltre quel sistema.
E tutto il bene, al bello e all’amore da vivere ancora, nelle umane stagioni. Quelle che ci appartengono e che dobbiamo riconquistare.

Stefano Pierpaoli
16/12/20

Il callesse – Claude Monet (1867)

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