“La ruota e il freno hanno doveri diversi,
ma ne hanno anche uno uguale: quello di farsi male a vicenda”
Friedrich Nietszche

Inermi spettatori di uno sconcertante balletto politico, riceviamo continui complimenti e sentiti ringraziamenti istituzionali per l’ordinata disciplina con cui rispettiamo le regole.
La democrazia è il governo delle regole (sfido chiunque a definirla altrimenti) e noi siamo evidentemente cittadini democratici.
Eric Hobsbawm, ne “Il Secolo Breve”, ha ben descritto le quattro condizioni che fungono da base e consentono la sopravvivenza della democrazia stessa.
La prima è la sua legittimazione che deriva soltanto da un consenso diffuso e consapevole. In secondo luogo non devono esistere aspre contrapposizioni. La terza condizione è quella di un governo che non occupi troppi spazi decisionali. Infine, egli cita come vincolo indispensabile, la prosperità e il benessere della popolazione. Sembra che si parli d’Amore e in effetti è così. Riflettiamoci.

Con un rispettoso inchino, esprimiamo gratitudine per le congratulazioni ricevute, ma, a ben guardare, siamo lontani assai dai confini individuati dal grande storico novecentesco.
Nel DNA del popolo italiano non è mai esistito uno spirito realmente unitario, ma al tempo stesso siamo stati capaci di sviluppare anticorpi poderosi che ci permettessero di inventare percorsi comuni. È successo soprattutto nelle fasi di crisi profonda, nel dopoguerra in particolare, e ha prodotto effetti rilevanti e fortunati.
Potevamo godere tuttavia di riferimenti politici di valore. Donne e uomini con il senso dello Stato. Figure istituzionali che si occupavano dell’interesse generale.
Quando è implosa la Prima Repubblica, alla fine degli anni ’70, è crollata un’architettura politica solida e responsabile, lasciando il passo a bizzarri avventurieri che col tempo sarebbero stati sostituiti da farabutti e da altre figurine senza peso.

Questi arruffati manichini, carichi di potere, amano da molti anni trascorrere il loro tempo in un risiko volgare fatto di nomine, di concessioni e di privilegi che servono a gonfiare gli strumenti di dominio e le tasche dei loro prestanome. Il gioco è scoperto ormai da tempo, basti pensare all’Alitalia per arrivare all’ultima idiozia della Netflix della cultura.
Questo luna park per loro sarà anche divertente ma gli effetti sono disastrosi, soprattutto in un frangente nel quale giocare è una follia immorale e la tendenza allo svago diventa un comportamento criminale.

Tutti noi, seppure incatenati da una pandemia, sapevamo bene che al momento della torta sarebbe cominciata una squallida rissa da bar, ma per un attimo abbiamo sperato che si accendesse almeno uno scampolo di intelligenza nelle menti rinsecchite dei nostri politici allo sbaraglio. Ci siamo illusi.
Scoccata l’ora infatti della consegna dei compiti, alias la presentazione dei progetti per ottenere i fondi, tutti col foglio bianco e senza avere idea su cosa si debba fare, sono saliti sulla cattedra e hanno cominciato a urlare. Il nulla che rivendica il nulla.
Sciocchi e mortalmente ingenui, nel parapiglia hanno fatto cadere la clessidra che stava scandendo un tempo. Che si sia rotta o no, quel tempo scorre lo stesso e ogni ora che passa, nella situazione attuale, pesa quanto un anno. E un anno lo abbiamo già sprecato a parlare di vacanze e di aperitivi.
Ogni imbecille delinquente che punta i piedi per assicurarsi una fetta più grande della torta, lo sa, ad esempio, che in Italia le opere che costano più di 100 milioni di euro hanno bisogno di quasi 16 anni per essere ultimate? E lo sa che tra qualche mese potremmo trovarci in un paese con 25/30 milioni di poveri?

Non siamo in un quiz televisivo ed è bene che lo capiscano presto, perché quel potere su cui credono di poter poggiare la loro disonestà, è un castello di carta su cui si è già abbattuto un padrone più grande. È un tiranno severo che non porta alle giostre e non compra zucchero filato.
Il lago fatato, in cui sguazzavano come piranha per addentare tutto il mangiabile, si è seccato, e tutti i re ormai nudi che prima spargevano favori, sono al centro di un deserto con intorno un popolo stremato.
Sta finendo un anno drammatico e sarebbe un peccato se dovessimo ricordarlo con nostalgia.

Noi, da inermi spettatori, sudditi rassegnati, abbiamo il dovere di crescere in fretta e diventare donne e uomini che si accorgono del luna park e scelgono altro e di più.
Un dittatore è arrivato e altri sono dietro l’angolo ad aspettare un crollo. A provocare il crollo. I loro complimenti tra poco non basteranno più e il vaccino più veloce della storia non ci restituirà il benessere che, forse in tanti, non abbiamo mai conosciuto.

Sta arrivando il momento di pretendere il benessere vero, per noi stessi e soprattutto per le giovani generazioni su cui si stanno ammassando tanti e troppi debiti economici e morali.
Il ricatto della continua emergenza distrae dai bisogni, ma non li risolve.
Deve arrivare il tempo delle idee, di quelle coraggiose e limpide, piene di dignità. Le visioni che cacciano via la solitudine e che sanno costruire e che spingono a mantenersi accanto all’altro. Importanti e indispensabili l’uno per l’altra.

Ora siamo un esempio di popolo che aspetta o che osserva il dittatore senza muovere un dito.
Dobbiamo diventare un popolo di esempio e rimettere in piedi una democrazia degna di chiamarsi tale.
Non esiste altra garanzia e non c’è una salvezza che non parta da lì.

Stefano Pierpaoli
12/12/20

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