Le buone pratiche sono la sostanza indispensabile per la disciplina del vivere sano.
Mascherina, distanziamento e monitoraggio sanitario fanno parte di una condotta che dovrà entrare nei nostri stili di vita. Sono strumenti essenziali che dovremo rispettare, per chissà quanto tempo, per la salvaguardia della nostra salute. Per proteggere la nostra vita e quella degli altri.
Il solo dover sistemare gli elastici intorno alle orecchie, ogni volta che dobbiamo uscire di casa, ci invia però un messaggio non sempre facile da interpretare.
Regole e direttive che giungono dall’alto possono certo imporre atteggiamenti ma di certo non intervengono nella nostra capacità di affrontare la paura, l’insicurezza, l’angoscia e l’infelicità.
Nemmeno riusciranno a risolvere i tormenti che ci assalgono quando pensiamo al nemico immenso e invisibile che ci sta assalendo.
Dopo tanta retorica sulla diversità è arrivato il momento di confrontarci davvero con il diverso. Siamo costretti nostro malgrado ad affrontare un ignoto che ci costringe a conoscere e a interpretare. Che ci chiede di cambiare. Che ci induce a reinventare le nostre abitudini. Che, privo di indulgenza, ci obbliga a guardarci dentro.
Tanto tempo nel quale, di fronte ai drammi e ai disagi, abbiamo avuto sempre la possibilità di voltarci dall’altra parte perché in fondo non ci riguardava, e ora siamo in un cul de sac da cui non possiamo fuggire.
È arrivato l’invasore, il forestiero sgradito, il ladro di benessere. Non stava allo stadio nella curva opposta. Non ha usato barchini per arrivare nelle nostre coste. Non siede sugli scranni contrari.
Il tentativo di nasconderci o fuggire, di negare un’evidenza spaventosa e pensare che sarebbe finito tutto in un attimo c’è stato. Sono lecite strategie di protezione. Del resto viviamo nella società dello spettacolo e ci siamo distratti correndo dietro ai mille show sulla pandemia.
Ma quel nemico lì non lascia spazio al chiacchiericcio ed è un diverso sprezzante, che non porta nemmeno consenso. Quando sente politici che litigano, categorie che protestano, disgraziati che manifestano, lui sorride perché grazie a loro sta prendendo forza. La disperazione dell’altro è il suo cibo preferito.
Ci osserva mentre ci nascondiamo dalle responsabilità, mentre fuggiamo dalla realtà e gode ogni volta che andiamo a cercare un nemico che non sia lui. E in quel momento prende più potere.
Più restiamo divisi e soli, più grande sarà la sua forza. A tratti sembra un leader postmoderno che guida un partito populista.
Questo qui è proprio un diverso pericoloso e si direbbe che non scenderà a patti.
Teme solo una cosa: che l’uomo riconosca l’uomo. E se questo succede, l’uomo si unisce all’altro e con l’altro si allea.
Da quel momento in poi lo stare accanto e insieme su quel confine che si chiama paura potrebbe non essere più un pericolo che tutti cercano di evitare. L’infelicità e l’angoscia potrebbero diminuire. La realtà diventerebbe una dimensione accolta e affrontata senza drogarsi di inutili artifici. Si fermerebbe la ricerca spasmodica di un nemico. Di quel nemico che è in noi e che proiettiamo nell’altro.
È una sfida che deve essere raccolta e affrontata. È una sfida che comincia nella nostra anima e ci rende più forti perché ci svela l’importanza dell’altro e il valore dello stare accanto.
Dobbiamo affrontare un diverso che può farci morire e non è facile da accettare e perfino ammetterlo può terrorizzarci.
Ma “aver paura di morire non aiuta a non morire” (cit.) e quella sfida lì ci sta offrendo un’occasione fantastica. Quella di ricominciare a vivere seguendo il ritmo del cuore.
Stefano Pierpaoli
27 ottobre 2020