Tanti anni fa, in Italia, esisteva un mondo capace di esprimere le passioni più intense e di godere del seguito più devoto e costante. Un universo in grado di catalizzare le energie più vigorose e le appartenenze più inossidabili. Centinaia di migliaia di sostenitori che alimentavano un’industria prospera ed esuberante. Un’enorme ricchezza per il Paese.
Era uno smisurato ambiente che scommetteva sui giovani talenti e promuoveva i vivai per far crescere i futuri protagonisti di uno spettacolo immensamente coinvolgente.
Un settore che dava lustro a prestigio all’Italia in campo internazionale per i continui successi ottenuti in ogni ambito cella competizione. Facevamo scuola ed eravamo riconosciuti in quanto maestri.
Questa galassia splendente si chiama Calcio e non era minimamente pensabile che un asset di tali dimensioni potesse essere messo in discussione. In quanto dogma ed essenza emozionale, culturale ed economica di assoluta importanza, nessuno avrebbe mai ipotizzato il crollo di questa roccaforte dell’identità nazionale.
Impossibile prevederne il collasso, eppure siamo riusciti anche in questo.
Assenza di programmazione, disonestà e accentramenti di potere hanno demolito una roccaforte che sembrava invulnerabile.
Non abbiamo giovani campioni, nessun rilievo a livello internazionale e le nostre squadre stanno miseramente fallendo. Le partite più importanti vedono in campo pochissimi atleti italiani e nella maggior parte dei casi sono ultra trentenni. L’Inter è stato venduto da un imprenditorie indonesiano a un colosso cinese dell’elettronica, Suning Holdings Group. Il miliardario Berlusconi sta tentando di appioppare, sempre a qualche gigante cinese, il suo Milan caduto in disgrazia. La Roma è in mani americane e pilotata da Boston.
Il campionato italiano è ormai una farsa con una sola protagonista che vince senza sudare da ormai 5 anni.
Gli stadi perdono pubblico e in molti casi sono cantieri e dimora di violenti e criminali. I nostri vivai non generano nuovi campioni ma, nella migliore ipotesi, pedine di scambio per fare i “neri” ed evadere le tasse.
Quello del calcio è un paradigma spietato che però ci dovrebbe far capire che non riusciamo a sostenere nemmeno i comparti storicamente più solidi e li trasformiamo invece in disastri economici e sociali.
L’aberrazione dei sistemi che mettiamo in atto è manifestata dalle perversioni con cui gestiamo e indirizziamo i processi economici e culturali. Sappiamo rubare, agiamo nella logica del potere e del consenso, cerchiamo di arrampicarci per arraffare il possibile. Poi camminiamo sulle macerie che abbiamo prodotto e operiamo nella continua emergenza. Soffriamo, sfruttandole, le crisi di panico della popolazione e così la teniamo all’angolo, oppressa dal presente e senza la possibilità di progettare il suo percorso esistenziale. Una massa impoverita, ignorante e angosciata è facilissima da controllare.
Ma la storia presenta il suo conto e prima o poi lo si deve pagare. Più si rimanda e più sarà costoso.
Con le “fregnacce” non si arriva lontano e un paese che non sa costruire e scommettere sul proprio futuro è già morto. Tante persone hanno l’illusione di giocare in Serie A e quindi essere tra gli attori principali, pur arrivando tra gli ultimi.
In realtà non stanno nemmeno in Serie C e se credono che possono giocare la partita si sbagliano di grosso. Al massimo fanno i tifosi, occupano i posti in piedi più lontani dal campo e la loro squadra perderà miseramente.
Il parallelo più preoccupante con il calcio? Ovviamente Roma.
Stefano Pierpaoli
6 giugno 2016